mercoledì 7 marzo 2018

8 marzo, festa della femminilità

Non ha senso festeggiare la donna in quanto tale, buona o cattiva che sia, ma solo quell’aspetto della donna che riguarda quel complesso di doti, di attitudini, di talenti ecc. che la caratterizza e la differenzia per particolari virtù tipicamente femminili. Per questo si dovrebbe parlare di “FESTA DELLA FEMMINILITÀ”.
Infatti è nel corso della svolgimento della propria vita che si distingue una donna dall’altra, non solo per il suo apporto diciamo culturale, sociale, ecc. di chi occupa posti di rilievo
nella società o di chi preferisce dedicarsi alla vita semplice ma costruttiva di una famiglia, ma per quel carico di virtù umane, spirituali e anche soprannaturali, spesso nascoste agli occhi esterni, che fanno però la differenza tra una donna e l’altra: tra una eroina e una profittatrice, tra una donna generosa e una avida di potere o di soldi, tra una donna diciamo di fede profonda e una miscredente, tra una donna che si sacrifica la famiglia e quella che invece abbandona le sue responsabilità per nuove avventure nel mondo ecc.
Siccome la donna ha avuto da Dio “un punto in più” rispetto all’uomo (prova ne sia che sa cavarsela benissimo anche da sola o con figli in tutte le difficoltà, mentre l’uomo soccombe per poco), allora lo deve dimostrare anche nei fatti questa sua superiorità, davanti alle prove della vita, attraverso azioni eroiche di fedeltà e di amore, a costo di rinunce, di sacrifici, di rinnegare sé stessa, sapendo che se lo fa per amor di Dio, ne riceverà la forza necessaria in questa vita terrena, e poi il Premio nella Vita Eterna.  Dio non abbandona mai chi si affida a Lui.

EROINE E SANTE. Per questo vengono prese come modelli di vita nel mondo cattolico quelle donne che, per certe loro virtù eroiche, sono definite beate o sante, come ce ne sono a migliaia sin dai primi secoli del cristianesimo. Erano tutte donne di varie età e di diversa estrazione sociale, culturale ecc. però spiccavano per determinate virtù femminili che si potrebbero racchiudere in una sola parola che oggi è così osteggiate e derisa: LA FEDELTA’. Fedeltà eroica a Dio e ai propri doveri famigliari, sociali, di lavoro, di stato ecc. spesso a costo della propria vita. Le prime sante cristiane come S. Agnese, S. Cecilia, S. Eufemia, Santa Agata ecc. martirizzate in modo cruento per non rinnegare la loro fede, e poi altre sante nei duemila anni di storia della Chiesa: S. Chiara, S. Orsola, Santa Elisabetta d’Ungheria, S. Teresa e Teresina, Santa Caterina da Siena ecc. fino alla più recente Santa Maria Goretti morta per mano del suo assassino piuttosto che violare la sua purezza.

FEMMINICIDI. Per chiarire un po’ le idee, diciamo che non basta morire di morte violenta per additare la donna come eroina, addirittura candidata alla santità, perché se quella donna che è stata ammazzata non ha vissuto per lo meno la fedeltà ai propri doveri famigliari, sociali, relazionali, in primis verso Dio, quel suo sacrificio subito con violenza non le servirà per guadagnarsi la vita eterna. So di essere impopolare con questo argomento perché è molto più facile al giorno d’oggi farsi paladina dei diritti di tutte le donne in genere, piuttosto che avere il coraggio di sondare le vere motivazioni del fenomeno.
Qui voglio solo accennare brevemente a questo fenomeno orribile del femminicidio che il più delle volte sfocia nel suicidio dell’assassino per disperazione, frutto anche di una società perversa che, dopo aver istigato al divorzio, alla violenza, alla soddisfazione immediata di tutti gli istinti più bassi senza alcun freno, alla fine si domanda come mai avvengano questi fatti terribili.  Falsi e ipocriti!  Ma non avete letto quello che ha detto Gesù Cristo del matrimonio? “E I DUE SARANNO UNA CARNE SOLA! NON SEPARI L’UOMO QUELLO CHE DIO HA UNITO”. Infatti, anche per chi non crede alla Parola di Dio, sta di fatto che il matrimonio crea un vincolo di intima unione così profondo dei due corpi, maschile e femminile, e delle due anime, che solo il pensare di separarsi dopo una vita coniugale insieme magari anche con figli, crea una tale lacerazione nell’interiorità di tutta la persona, corpo, anima e psiche, (soprattutto di quel coniuge costretto a subire questo controvoglia), da renderla cieca e disperata fino al punto da farla finita con tutti e anche sé stesso.  E’ ormai assodato che tutti quei coniugi che si separano, per non cadere in depressione devono ricorrere a psicofarmaci, a medici e psichiatri, senza dire della sofferenza dei figli. Perché allora non trovare un accordo prima di arrivare a questi estremi di autolesionismo? Molti lo hanno fatto con ottimi risultati e nella certezza che il Signore è impegnato ad aiutarci nel superare le prove della vita coniugale se ci rivolgiamo a lui con la preghiera, anziché ricorrere subito a consultori dove il primo consiglio che danno è quello di separarsi subito.

DOVERI DA DIFENDERE. In un mondo che ha fatto del sesso libero e multicolore la sua bandiera, che invita a “fare sesso”, come si suol volgarmente dire, ora con questo, ora con quello, ora con entrambi, un mondo che neppure si domanda se questo comportamento è un peccato degno dell’inferno, (a maggior ragione se l’interessato/a è consacrato da un vincolo sacramentale), o se è la normalità della vita!  Perché ognuno di noi ha un impegno di fedeltà da custodire, o col marito, moglie, o fidanzato, o Istituto religioso, o con sè stesso perché il fatto di essere libero da legami e vivere da “single” non ci autorizza ad accettare tutte le avventure che ci passano sotto tiro. Dobbiamo tutti impegnarci per vivere la fedeltà e la castità, e per certuni anche la verginità per il regno dei Cieli. E se una persona non è fedele sotto l’aspetto sessuale, molto difficilmente lo sarà negli altri ambiti della vita.
Nessuno è così libero da non avere dei doveri sacrosanti da difendere, da non sentire intimamente questo richiamo che la propria coscienza fa emergere più spesso di quello che crediamo. Non è possibile, ad esempio, che una donna sposata o libera, si permetta di vestire in modo discinto e provocante accanto a un datore di lavoro, a un collega, ecc. mettendolo prima a dura prova con le sue moine seminude per poi denunciarlo se costui osa fare delle avance o altro! Ma se è peccato grave per la donna sedurre un uomo con astuzia (fatalità si tratta quasi sempre di ricchi signori e mai del panettiere o del calzolaio), azione ancor più indegna e peccaminosa è il fatto di denunciarlo pubblicamente dopo averlo astutamente “accalappiato”. Sono queste le donne che dobbiamo festeggiare l’otto marzo?

FEDELTÀ E FELICITÀ. Se i media sbandierano solo fatti negativi e spesso criminali, creando purtroppo anche un “effetto domino” cioè di imitare nel proprio subconscio determinati comportamenti, ci sono ancora molte donne, oltre che uomini evidentemente, che vivono le virtù in modo eroico nella consapevolezza che la fedelta è sempre ripagata dalla felicità, vale a dire che si prova una tale pace interiore quando si vive la fedeltà con il proprio coniuge che non è da paragonare con nessun altro godimento effimero e passeggero che lascia poi tanto rimorso. Ma in tutti i casi c’è sempre la possibilità, per chi fosse caduto anche gravemente e ripetutamente, di ricorrere alla misericordia di Dio nel sacramento del perdono. D’altra parte la vita dell’uomo sulla terra è tutta una battaglia contro le proprie cattive tendenze. Si deve lottare non solo per essere casti e fedeli, ma anche per essere onesti, sinceri, leali, generosi, laboriosi ecc. Comunque per la donna resta il fatto che il trinomio “Femminilità, fedeltà e felicità” è sempre vincente.

Ricordiamo le esortazioni di un sacerdote diocesano veronese, don Ferdinando Rancan, recentemente scomparso in concetto di santità: “Bisogna vivere su questa terra con la prospettiva del cielo, perché questa nostra vita è breve, precaria, talvolta dura e difficile, ma poi ci aspetta la vita eterna per sempre. S. Ireneo di Lione dice che “Gloria di Dio è l’uomo vivente”. Ciò vuol dire che al momento di definire “chi è l’uomo” nella sua complessità biologica, antropologica, psicologica, spirituale ecc. non bisogna mai perdere di vista la sua “dimensione soprannaturale”. Infatti l'uomo (e la donna ovviamente) non può essere sufficientemente definito e compreso nella sua grandezza come nella sua debolezza, se non si tiene conto del suo destino di eternità. In altre parole l'uomo non è definibile e nemmeno intelligibile senza collegarlo al fine ultimo al quale è stato chiamato: la visione di Dio e l'intima Comunione con Lui". (da "Il senso del vivere")

1 commento:

  1. Professoressa Stella, ai gerarchi di questa chiesa piaciona e godereccia non gliene importa più nulla della salvezza delle anime, anzi la parola anima cercano di non pronunciarla proprio, ma si ricordano delle anime nei funerali facendo gesti di benedizione per tutti.

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