Visualizzazione post con etichetta don Ferdinando Rancan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta don Ferdinando Rancan. Mostra tutti i post

lunedì 8 settembre 2025

TESTIMONIANZA SU ALCUNE VIRTU' EROICHE DI DON FERDINANDO RANCAN

 

CARITÀ EROICA VERSO IL PROSSIMO


N. 1 CARITÀ CON OPERE DI SERVIZIO.


Durante la sua permanenza come parroco ai Santi Apostoli (1980/1997) don Ferdinando si occupò di molte cose, soprattutto di carattere pastorale, ma senza mai trascurare la sua attenzione verso i poveri in situazioni difficili impegnandosi, con più o meno successo, a cercare o indirizzare le persone alla ricerca di un lavoro o di un alloggio o un sussidio. Spesso si rammaricava per non essere riuscito in questo intento, tuttavia una cosa è certa: nessuno se ne andava da lui senza aver ricevuto almeno un’offerta in denaro per le loro necessità.

Anche se la parrocchia era nella zona del centro storico per eccellenza, fra Corso Cavour e piazza Brà con palazzi famosi di famiglie nobili di Verona, in realtà vivevano anche molte famiglie semplici, o anziani poveri magari nei piani terra o rialzati di quei palazzi o vie laterali. In parrocchia don Ferdinando ha sempre sostenuto e incrementato la “Società di San Vincenzo” per i poveri, Associazione benefica che i parroci precedenti avevano istituito grazie anche alla generosità di quei parrocchiani benestanti che provvedevano ad aiutare famiglie in difficoltà, sia della parrocchia che fuori, pagando bollette, viveri, affitti, ecc

Quando lui si trasferì dalla parrocchia in un appartamento privato cedendo il posto al nuovo parroco, don Gino Oliosi, alcuni dei poveri che erano aiutati dalla San Vincenzo della parrocchia, venivano a trovarlo anche a casa sua chiedendogli un aiuto economico o un consiglio. Mentre io cercavo di rimandarli educatamente alla S. Vincenzo della parrocchia offrendo loro un pacchetto di viveri o dolcetti, d. Ferdinando invece li faceva entrare nel salottino dell’ingresso, li salutava con affetto, spiegando loro che poteva dare in denaro solo quello che gli permetteva la sua povera pensione da prete, ma comunque nessuno tornava a casa senza aver ricevuto un obolo a seconda delle loro necessità e sempre lo ringraziavano con un bel “arrivederci” alla prossima volta. Erano felici soprattutto di aver ricevuto da lui un po’ di attenzione, una parola buona, un interessamento verso la loro salute o dei figli o della famiglia. Ho notato che, alla fine, venivano più per questo loro desiderio di rivedere il loro ex parroco e sapere di essere da lui ricordati, che per l’aiuto economico.


N. 2 IOLE LA GIOSTRAIA


IOLE LA GIOSTRAIA veniva da anni in parrocchia da d. Ferdinando a chiedere aiuti economici per pagare le bollette soprattutto della luce per la sua famiglia. Erano veronesi della periferia di San Bonifacio che andavano in giro in occasione di fiere o sagre di paese con una roulotte malandata e un banchetto di giochi popolari o di dolcetti. Un giorno ci spiegò la sua situazione abitativa molto precaria. Infatti vivevano in sei, padre madre e quattro figli in una roulotte piccola e malandata dentro cui pioveva acqua. Inutili furono i nostri tentativi di cercar loro un alloggio popolare che loro rifiutavano perché in effetti lavoravano come nomadi in giro per le fiere paesane e pertanto l’unico alloggio a cui aspiravano era una nuova roulotte più grande e confortevole per potersi muovere facilmente da un paese all’altro.

A tale scopo d. Ferdinando si interessò per l’acquisto di una roulotte più grande, magari a buon prezzo fra quelle usate in buone condizioni, e incaricò un paio di persone, tra cui la sottoscritta. Una volta reperita secondo il nostro parere, la facemmo vedere alla signora Iole che la trovò ideale per la sua famiglia.

Non trovammo subito i soldi perché mi pare che costasse 6 milioni e mezzo delle vecchie lire ma prendemmo accordi con il venditore di consegnarcela dando una caparra e pagando un po’ al mese, dietro garanzia del nostro parroco che inviò al responsabile dell’azienda un suo scritto di referenza. Don Ferdinando non fece in tempo a divulgare la notizia a qualche parrocchiano o benefattore di sua conoscenza che subito, sulla fiducia, questi dimostravano la loro generosità venendo incontro alle richieste con contributi piccoli o grandi ma a tal punto che la roulotte venne pagata nel giro di pochi mesi.

La signora Iole continuò ad andare a trovare d. Ferdinando anche dopo la parrocchia, nel suo appartamento privato per salutarlo con gratitudine e avere qualche offerta, almeno a Natale e a Pasqua, fino alla morte di d. Ferdinando.


In fede Patrizia Stella


***************************


N. 3. CARITA’ CON OPERE DI SERVIZIO


Sempre nella parrocchia dei Santi Apostoli, ci fu il caso di un piccolo imprenditore della periferia di Verona che andò disperato da don Ferdinando, che conosceva da anni, a chiedergli aiuto perché la sua piccola azienda che aveva non ricordo bene se tre o quattro dipendenti, per una serie di problemi, rischiava il fallimento col rischio che questi dipendenti con famiglia perdessero il lavoro. Aveva subito bisogno di un TOT DI MILIONI DI LIRE per bloccare il fallimento e riprendere poi l’attività.


Don Ferdinando, dopo aver chiesto tutte le credenziali necessarie del caso (pur conoscendo personalmente l’imprenditore e la sua onestà), pensò di venirgli incontro anticipandogli quei soldi che una Banca gli aveva da poco elargito come contributo per la ristruttura del complesso parrocchiale, del quale comunque doveva rendere conto al Consiglio pastorale e alla Curia alla fine dei lavori.


Come pegno, l’imprenditore gli lasciò degli assegni postdatati dell’importo totale di quei milioni di lire anticipati da d. Ferdinando che avrebbe potuto riscuotere alla data indicata sui rispettivi assegni. I primi assegni furono coperti secondo le date previste, ma purtroppo rimasero scoperti gli altri assegni e, mano a mano che si avvicinava la scadenza della riscossione, quell’imprenditore avvisava tutto angosciato d. Ferdinando di non andare a riscuoterli perché erano scoperti ma di avere fiducia perché un po’ alla volta avrebbe sistemato tutto perché c’erano buone prospettive di ripresa del lavoro.


Passò il tempo senza che d. Ferdinando andasse più in Banca a verificare la situazione, e rimasero da riscuotere ancora quattro assegni, come da allegato, dove ho ritenuto opportuno coprire la firma del manager che è tuttora vivente e anche conosciuto, assegni che alla fine d. Ferdinando non se la sentì più di riscuotere perché capiva la difficoltà di questo signore a tenere in piedi la sua azienda e non voleva ritenersi il responsabile di questo increscioso fallimento e ancor meno del licenziamento di operai con famiglia. Confidava nell’aiuto della Provvidenza e fece pregare per questa intenzione, sempre nell’anonimato.


Qualche tempo dopo ottenne dall’impresa di costruzioni che nel frattempo aveva portato a termine i lavori di ristrutturazione del complesso parrocchiale, uno sconto straordinario di una quindicina di milioni rispetto al preventivo presentato! Più o meno la cifra che d. Ferdinando aveva sborsato prelevandoli dalla cassa “ristrutturazione chiesa” e pensò che quello era veramente il segno della Provvidenza di Dio per venire incontro alle difficoltà di questo bravo e responsabile imprenditore senza creare nessun debito per nessuno. L’azienda riprese bene in seguito la sua attività.


Vedi allegato fotocopia dei 4 assegni


                                                      In fede

                                                 Patrizia Stella


                       ***************************************

                    

PARERE DEL MEDICO CURANTE. VALORI DA COMA


L’ultimo giorno della sua vita, tra il 9 e il 10 gennaio 2017, abbiamo accompagnato don Ferdinando d’urgenza all’ospedale a causa dell’aggravarsi delle solite crisi respiratorie per le quali veniva talvolta ricoverato in rianimazione, ma dalle quali usciva sempre come se fosse stato miracolosamente rinvigorito, tanto che il giorno dopo lo si vedeva sull’altare a celebrare la Messa e predicare, nell’incredulità di coloro che avevano pregato per lui credendolo moribondo o addirittura morto.

Quel giorno però fu quello destinato da Dio per il suo passaggio al cielo dopo aver compiuto 90 anni di età. Entrati d’urgenza al pronto soccorso al mattino di lunedì 9 gennaio, iniziò un crollo progressivo nonostante le cure prestate per rianimarlo. Chiamammo allora il suo confessore, don Ermanno, che venne subito ad amministrargli i Sacramenti, compresa l’Unzione dei malati e la benedizione papale, alla quale d. Ferdinando teneva molto perché la imparò da sua nonna Virginia che la faceva recitare tutte le sere ai suoi nipotini orfani prima di andare a letto. Sono sicura di fargli piacere se la tramando così come la recitava lui in mezzo dialetto “O mio Gesù, vado a letto! Non so se ho da levare. Tre cose ti voglio domandare: Confesion, Comunion e Benedision papale”. Un po’ alla volta entrò in una specie di coma irreversibile sotto controllo del medico di turno, il quale ad un certo punto uscì con queste testuali parole “Noi medici (del reparto di pneumologia di Borgo Trento dove veniva spesso ricoverato e che ringraziamo per le cure prestate) noi medici ci siamo chiesti più volte come abbia fatto quest’uomo a vivere con valori da coma! E davanti al nostro sguardo allibito che chiedeva ulteriori spiegazioni, questi rimarcò con maggiore sicurezza: “Si! E’ vissuto con valori che per un uomo normale significano coma”.

Lo assistemmo con affetto nelle ultime ore del giorno 9 tenendogli la mano e invocando l’intercessione di S. Giuseppe, Patrono della buona morte, mentre il suo respiro si faceva sempre più debole e pensavamo che forse il Signore lo voleva prendere lo stesso giorno “9 GENNAIO”, DATA DELLA NASCITA DEL FONDATORE DELL’OPUS DEI. Invece notammo che, pur facendosi sempre più debole il respiro, però reggeva ancora, ora dopo ora, fino ad arrivare alla mezzanotte del giorno dopo, 10 gennaio.

Da quel momento iniziò il tracollo definitivo finché alle ORE UNA DELL’ ALBA DEL 10 GENNAIO 2017, esalò l’ultimo suo respiro. A quel punto capimmo, senza bisogno di parole, che d. Ferdinando, nella sua umiltà e delicatezza di vita, già in contatto col Cielo, non voleva far coincidere la data della sua morte di semplice sacerdote, con quella della nascita del suo Santo Fondatore, San Josemaria Escrivà, 9 gennaio, autorità ben più grande nella Chiesa e Maestro di vita spirituale.

La data del 9 gennaio doveva rimanere tutta e solo per san Josemaria Escrivà.


                                              *****************************


L’AMORE ALLA SANTA MESSA


Vero “Alter Christus”, trovò nel Sacrificio Eucaristico quella forza soprannaturale che sempre lo accompagnò anche nei momenti più difficili, tanto che era inconcepibile per lui passare un giorno senza celebrare la Messa. Negli ultimi anni, non potendo più andare in parrocchia, anche a motivo di una progressiva cecità, celebrava la Messa in casa, sulla mensola di una libreria allestita a tale scopo, ma quando veniva ricoverato, la celebrava perfino sul tavolino della stanza da letto dell’ospedale, avendo sempre a disposizione una valigetta con tutto l’occorrente. Perfino certe sere quando tornava a casa dopo una giornata di analisi e visite mediche estenuanti, non si metteva a cena se non dopo aver celebrato la Messa del giorno.

Era edificante vedere con quanta fede si inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, in adorazione del divino Mistero Eucaristico. Sosteneva che la Messa doveva essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra

L’ultimo giorno della sua vita, diciamo alla fine del giorno 9 gennaio 2017, entrò nel coma profondo che prelude di solito al “grande passaggio” e quale fu la nostra meraviglia quando all’improvviso ebbe come un risveglio, che di solito viene chiamato risveglio “ante mortem”, si mise a sedere sul letto, si guardò intorno e la prima cosa che chiese fu questa: “Portatemi a casa perché voglio dire la Messa”. Furono le sue ultime parole, il suo pensiero costante e dominante “celebrare la Messa” ogni giorno, e quando era parroco, se necessario, anche più volte al giorno.

In fede Patrizia Stella


***************************************


VITA DI FEDE EROICA


Era sempre disponibile per le confessioni o direzione spirituale e seguiva ogni persona secondo le proprie esigenze, senza mai ferirle o umiliarle, ma cercando di incoraggiarle a superare o accettare le loro fragilità


L’ATTUALE SACERDOTE PENITENZIERE DELLA Curia, mons. Bruno Ferrante, che era stato suo alunno in seminario e aveva avuto modo di frequentare anche in seguito d. Ferdinando, un giorno mi disse, mentre gli parlavo della santità eroica del Fondatore dell’Opus Dei, da me conosciuto personalmente quando lavoravo nella sede centrale a Roma, mi disse queste letterali parole “la santità di d. Ferdinando non è da meno di quella del suo Fondatore”


C’è uno scritto autografo del prof. Gino Barbieri, già Preside delle Facoltà Umanistiche dell’Università di Verona che dice così: Quando predica, don Ferdinando mi commuove. Mi pare di sentire la voce del Salvatore


EMARGINAZIONE. Il suo più grande eroismo è stato il periodo della prova nella seconda parte della sua vita, (a parte quello straordinario e traumatico dell’espulsione dal seminario nel 1949), cioè quello di aver chiesto invano di continuare a fare il prete in una chiesa pubblica, o Rettoria o Cappella a disposizione dei fedeli, dopo che gli venne chiesto di cedere la parrocchia all’età di 71 anni a un suo confratello. Si può dire che quel periodo di 17 anni (1980-1997) in cui svolse la mansione di parroco dei Ss. Apostoli è stato l’unico della sua vita nel quale ha potuto dare il massimo delle sue potenzialità sacerdotali: umane, spirituali, culturali, ecc., pur in mezzo ai soliti disturbi respiratori che comunque non gli hanno mai impedito di fare il prete a tempo pieno.

Dopo di allora, la totale o parziale emarginazione! Per impedirgli di continuare a celebrare la Messa sul tavolo del suo studio dopo due lunghi anni senza nessun’altra prospettiva, come se fosse sparito dalla diocesi, si alzò la voce verbale e scritta di molti ex parrocchiani o amici vari che chiedevano ripetutamente al Vescovo di turno di assegnargli una delle Rettorie che nel frattempo si erano liberate. Tutto invano. Ripararono nominandolo collaboratore del nuovo parroco di S. Eufemia, don Valentino Guglielmi.

C’è una testimonianza del rev. don Vittorio Turco, grande ammiratore di don Ferdinando del quale aveva una stima immensa che dice così “d. Ferdinando, uno dei pochi preti veronesi, serio, preparato, colto. La Diocesi poteva utilizzarlo meglio!”. Don Vittorio era del 1928 mentre d. Ferdinando del 1926 ma insieme frequentarono tutti gli anni del seminario e da lì si rese conto della santità di questo giovane, dal suo comportamento esemplare, paziente ma anche intransigente, dall’amore che aveva per l’adorazione davanti al Santissimo, tanto che, anche a distanza di anni, lo definiva così “Don Rancan, un sant’omo!”

Don Ferdinando accettò, come di consueto, tutte le emarginazioni, delusioni o umiliazioni in silenzio, come volontà di Dio, senza mai recriminare o accusare nessuno, anzi manifestando verso la fine della sua vita, attraverso un suo testamento, la sua gratitudine a tutti i suoi superiori e confratelli, e chiedendo loro perdono delle sue mancanze nei loro confronti. Ne è prova un bell’articolo di Mons. Antonio Finardi, ex parroco del duomo, su Verona Fedele che, ricordandolo nel suo 90.mo compleanno nel 2016, lo ringraziò per essere stato vero “maestro di vita” durante la sua docenza in seminario, con grande capacità di far assaporare la bellezza della scienza ecc. La risposta di d. Ferdinando fu di sincera gratitudine verso questo suo “ex alunno” esemplare, dal quale ha imparato a vivere lo zelo apostolico e l’amore per la Chiesa e le anime...”


BENEDIZIONE SACERDOTALE. Quando celebrava in casa con un paio di persone presenti notammo che alla fine della Messa dava la benedizione allargando le braccia esclamando con una certa enfasi: “Il Signore sia con tutti voi”, come se si trovasse davanti a una grande folla. Un giorno gli chiesi il perché di “tutti voi” se eravamo in due o tre “gatti” presenti. Rispose: “Davanti alla benedizione di un sacerdote, soprattutto al termine della Messa, c’è il mondo intero che ne usufruisce.”


RINGRAZIAMENTO DOPO LA MESSA. Appena terminata la Messa, dopo essersi svestito dei paramenti sacri, era abitudine per d. Ferdinando, secondo i consigli di molti Santi, tra cui san Josemaria Escrivà, di fermarsi almeno 10/12 minuti, in silenzioso raccoglimento per ringraziare il Signore del dono grande dell’Eucaristia e chiedergli grazie per tutti coloro che si raccomandavano a lui.

Lui stava immobile, inginocchiato sul primo banco a pregare, come assente. Solo dopo il breve tempo del ringraziamento, si alzava per salutare o ascoltare le persone, o confessare, o scambiare due parole.


In fede Patrizia Stella


***************************************



DESIDERIO APPASSIONATO DI CONDURRE LE ANIME A DIO

SACRAMENTI.


BATTESIMO Nonostante la moda di impartire il Battesimo anche dopo mesi dalla nascita, d. Ferdinando si premurava affinché almeno i figli dei suoi parrocchiani venissero battezzati al più presto. Venivano anche da fuori parrocchia per far battezzare presto i loro bambini, senza aspettare magari per mesi e mesi le date canoniche.


Ricordo un episodio del signor Giovanni Tagliapietra che venne da d. Ferdinando per chiedergli la cortesia di battezzare il suo bambino almeno dopo le feste natalizie (era nato ai primi dicembre del 2000) perché il suo parroco voleva farlo aspettare fino alla notte di Pasqua per battezzarlo assieme ad altri neonati.

D. Ferdinando fissò negli occhi il padre e gli disse con tono perentorio: “Ma scherziamo! E tu vorresti passare il Natale senza che tuo figlio diventi Figlio di Dio?” E infatti battezzò il bambino da solo con un piccolo gruppo di parenti la domenica prima di Natale, con grande gioia dei genitori.


MALATTIA OFFERTA IN SILENZIO D. Ferdinando aveva un polmone solo sin dall’età di 52 anni perché gli era stato asportato a motivo di broncoectasie purulente che rischiavano anche di infettare l’altro polmone sano. Dopo alcuni anni iniziò a portare l’ossigeno tutto il giorno e il ventilatore polmonare la notte. Mai lo si vide lamentarsi neppure quando la difficoltà respiratoria era quasi insostenibile. In questo caso cercava di rilassarsi, respirare il più profondamente possibile e pregare in silenzio. La maggior parte delle volte la crisi passava senza dover essere ricoverato in rianimazione. Allora riprendeva a sorridere come per ringraziare Dio di essere uscito dal solito grave pericolo e poter riprendere le sue normali attività, senza il minimo lamento né prima né dopo. Si capiva che indirizzava tutto al Signore e da lui solo aspettava la grazia, non della guarigione totale (aveva accettato questa penitenza come riparazione in unione alle sofferenze di Gesù) ma almeno la possibilità di respirare quanto basta per poter continuare a fare il prete fino all’ultimo suo respiro.

Tutte queste difficoltà respiratorie e altre conseguenze collegate che debilitavano tutto l’organismo con fibrillazione atriale, frequenti febbri ecc., mai gli impedirono comunque di esercitare il suo ministero a pieno ritmo durante la sua permanenza come parroco ai Santi Apostoli, seguendo la catechesi per ragazzi e adulti, organizzando pellegrinaggi mariani, incontri di formazione per famiglie, benedizione delle case famiglia per famiglia, occupandosi dei poveri e malati della parrocchia ai quali portava la Confessione e la Comunione a domicilio, e trovando anche il tempo per scrivere libri di formazione cristiana tuttora molto apprezzati.

Era un sacerdote che, sia pur malato, amava la vita e il mondo “appassionatamente” come è nella spiritualità di San Josemaria Escrivà, e il suo costante sorriso e la sua accoglienza lo dimostrava anche nei momenti più difficili.

Infatti, dicono i medici che, fra tutte le patologie o malattie varie, quella più dura da sopportare è quella respiratoria, legata ai polmoni, perché toglie le forze per qualunque altro impegno o entusiasmo e ti fa sentire sempre pronto per il grande passaggio alla Vita Eterna. A tale proposito ricordiamo le grandi tribolazioni a motivo della mancanza di respiro di una grande santa “Teresina di Gesù Bambino” la quale ad un certo punto del suo diario si esprime così: “Se sapeste cosa vuol dire non riuscire a respirare! Se soffoco, il buon Dio mi darà la forza. Ogni respiro è un dolore violento, però non è ancora tale da farmi gridare.”

Ebbene, ci risulta che don Ferdinando abbia parlato e scritto di molte cose, molti argomenti, libri, omelie, catechesi ecc. eppure non abbiamo mai udito un suo lamento, mai trovato nessuno scritto, o sfogo o cenno circa il suo tormento perenne che è stato la mancanza di respiro per tutta la vita, sin da piccolo fino alla sua morte, a 90 anni. Non ne parlava mai con nessuno, se non con i medici ovviamente quando cercavano di curarlo, e poi, in un colloquio mai interrotto con Dio dal quale traeva la forza per resistere e combattere con piena lucidità di mente fino al raggiungimento del bel traguardo di 90 anni che festeggiò con gioia nel giugno 2016 con i suoi preti, ex parrocchiani, parenti, amici vari.


Grazie di cuore caro don Ferdinando e abbi un occhio di riguardo per tutti noi che ti abbiamo conosciuto, amato, aiutato, sostenuto, e per tutti quelli che continueranno a invocare il tuo aiuto dal Cielo.


                                                                      In fede

                                                                Patrizia Stella




mercoledì 6 agosto 2025

LA DEVOZIONE A DIO PADRE. 7 AGOSTO


DIO PADRE PARLA AI SUOI FIGLI



https://youtu.be/mxk2CqKogj4

Nel 1932 una giovane religiosa italiana di provata virtù, suor Eugenia Elisabetta Ravasio (1907-1990) ebbe una particolare rivelazione da parte di Dio. Le fu chiesto di diffondere il suo messaggio per essere conosciuto, amato e onorato da tutti gli uomini, con un grande desiderio di essere da loro chiamato “PADRE!” e ricordato con una consacrazione speciale Il 7 agosto di ogni anno “Questo sarà un giorno di infinite grazie per chi si consacrerà a me con tutto il cuore”. Questo ciascuno lo può fare privatamente leggendo il testo della consacrazione aprendo il link qui sopra.

In questo messaggio Dio chiese inoltre di dedicare una celebrazione liturgica speciale sempre il 7 agosto di ogni anno, con l’obbligo di onorarlo in modo particolare come “PADRE DELL’UMANITÀ INTERA”. “Vorrei per questa festa una Messa e un ufficio propri. Non è difficile trovare i testi nella Sacra Scrittura”.

Il messaggio di Dio Padre fu molto specifico e amorevole: come primo motivo della sua venuta, il Padre comunicò quanto segue: “Io, Padre degli uomini, voglio bandire il timore eccessivo che le mie creature hanno di me e per far loro capire che la mia gioia consiste nell’essere conosciuto e amato dai miei figli, lamentando che il suo Amore di Padre è stato dimenticato dagli uomini. Eppure – affermò – “vi amo così teneramente “ ecc. ecc.

Segui il resto sul link sopra


**********************


Il Vescovo e le autorità ecclesiastiche hanno approvato questa devozione solo alla distanza di dieci anni dall’evento, e si sta diffondendo un po’ alla volta, come per tutte le altre rivelazioni private, ad esempio quella di Santa Faustina per Gesù della Divina Misericordia e quella di Santa Margherita Maria Alacocque per il Sacro Cuore di Gesù. E altre meno conosciute, soprattutto riguardanti il culto a Maria Santissima. A noi il compito di farla conoscere.

Molti Santi nella storia della Chiesa, (vedi San Josemaria Escrivà il Fondatore dell’Opus Dei) hanno superato momenti di grande difficoltà e prove, come affermano le numerose biografie, grazie alla consapevolezza di essere FIGLIO DI DIO e pertanto amato da Lui che mai chiede cose impossibili alle nostre forze.
Un figlio devoto di San Josemaria attualmente in concetto di santità, DON FERDINANDO RANCAN, sacerdote diocesano di Verona che ha aderito alla spiritualità dell’Opus Dei rimanendo sacerdote diocesano a pieno titolo, ha pure vissuto questa esperienza diciamo dolce e forte nel contempo, che non fa dubitare della presenza di Dio Padre anche davanti a prove terribili e inspiegabili. Si può trovare questa preghiera con commento sul libro autobiografico “Un somarello e la sua storia” nell’ultimo capitolo, dove l’autore racconta qualche episodio della sua vita davvero tribolata e anche rocambolesca che la rendono perfino avvincente proprio per le prove che ha dovuto passare. Si può richiedere alla casa editrice “Fede e Cultura” che invia il libro a domicilio (tel. 045/941851)



                   ATTO DI CONSACRAZIONE A DIO PADRE
                                 di don Ferdinando Rancan

Preghiera scritta da don Ferdinando come “Atto di consacrazione a Dio-Padre”, al quale è sempre stato molto devoto, non solo per aver trovato in Dio quella figura paterna che lui non poté godere a causa della morte del padre all’età di due anni, ma anche perché sosteneva che questa devozione deve essere valorizzata e fatta conoscere di più, a iniziare dagli stessi cattolici che soffrono molte volte della sindrome del “orfanello”.

È vero che lo nominiamo spesso nella preghiera del “Padre nostro” ma forse distrattamente, senza la piena consapevolezza del suo profondo significato come “Dio Amore”, Consolatore, Buono e Provvidente, che ama e si prende cura di ciascuno dei suoi figli come fossimo unici al mondo perché ci vuole felici su questa terra ma ancor più vuole portarci a godere con Lui della Vita Eterna.


*********************************************


Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno,

Principio e Fine di tutte le cose.

Creatore e Signore dell’Universo,

io ti adoro nell’abisso del mio nulla

e alla tua Maestà infinita innalzo la mia lode.


Ti chiedo umilmente perdono dei miei peccati,

di tutto ciò che nella mia vita fu male davanti a Te

e ha offeso la tua santità e bontà infinita.


Ti rendo grazie per tutti i tuoi benefici:

di avermi creato

fatto partecipe del tuo Essere divino;

di avermi fatto cristiano

figlio tuo partecipe della tua vita divina;

di avermi fatto sacerdote,

partecipe del sacerdozio di Gesù, il Figlio tuo diletto;

di avermi chiamato a servirti nell’Opus Dei,

partecipe dell’opera dello Spirito Santo

che nella Chiesa chiama tutti gli uomini alla santità;

e di tanti benefici di grazia e di misericordia

che hanno accompagnato il mio cammino sulla terra.


Padre Santo,

in questo giorno che la Chiesa dedica al battesimo di Gesù,

il grande mistero in cui hai rivelato la tua paternità divina

intendo compiere la consacrazione piena e perpetua

di tutto me stesso

a Te mio Creatore e Padre.



Nel ricordo del mio battesimo,

giorno in cui, guardandomi con infinito amore,

hai detto: “Tu sei mio figlio, oggi ti genero alla mia vita,

e in te pongo la mia dimora”

desidero affidarmi totalmente alla tua Paternità.


Ti offro e ti consacro tutto il mio essere:

la mia anima con le sue facoltà;l’intelligenza 

perché nella luce del Tuo Santo Spirito

conosca e penetri sempre più profondamente

il mistero della tua divinità;

la volontà perché, unita alla volontà di Gesù,

il tuo Figlio diletto,

compia sempre ciò che è gradito alla tua Maestà divina;

il mio cuore perché, unito al Cuore verginale di Maria,

Madre dolcissima del tuo Figlio,

sappia servire con umiltà e amore la tua Chiesa

e il disegno di salvezza che per essa vai attuando nel mondo;

il mio corpo con i suoi sensi,

perché unito al sacrificio eucaristico di Gesù

diventi olocausto di espiazione

per i miei peccati e per quelli di tutti gli uomini;

infine ti consacro tutta la mia vita,

tutto il tempo che tu vorrai concedermi

fino al momento in cui potrò dire: 

"Nelle tue mani, Padre, affido il mio spirito”.


Padre Santo, per i meriti di Gesù, tuo Figlio,

per la grazia dello Spirito Santo,

per l’intercessione di Maria, Madre di misericordia,

di San Giuseppe, di San Josemaria e di tutti i Santi,

ti chiedo di accettare benignamente

questa mia consacrazione alla tua amabilissima Paternità,

e concedimi di entrare un giorno nella Vita eterna

con tutte le persone che ho incontrato nella mia vita

a proclamare le meraviglie della tua infinita misericordia

con tutti gli Angeli del Cielo

per tutti i secoli dei secoli.

Amen


Pater, Ave, Gloria….









giovedì 29 maggio 2025

30 MAGGIO SAN FERDINANDO - IN MEMORIA DI DON FERDINANDO RANCAN

                     30 MAGGIO SAN FERDINANDO III   RE  

            IN MEMORIA DI DON FERDINANDO RANCAN


La Chiesa il 30 maggio celebra la memoria di san Ferdinando III, Re di Leon e di Castiglia, un santo famoso per la sua lotta contro l’invasione dell’Islam che stava avanzando sempre di più nell’entroterra della Spagna, obbligando tutti gli abitanti, com’è nel loro Corano e nella loro indole, a rinnegare la loro fede in Gesù Cristo per adorare Allah con tutte le conseguenze che ne derivano.

In queste battaglie che lui vinceva, riuscì sempre a mantenere buoni rapporti con gli avversari islamici: Alicante, Granada e Siviglia, ad esempio, erano rimaste ancora in mano agli arabi, ma grazie ad una sapiente opera diplomatica di Ferdinando, il loro re moro si sottopose al suo vassallaggio e un po’ alla volta abbandonarono del tutto i territori spagnoli per tornare alle loro terre del Medio Oriente. 

Fu tollerante con i Giudei , intransigente con gli eretici, regnò con prudenza, saggezza e generosità verso tutti, ricevette il viatico in ginocchio consapevole di dover morire chiedendo perdono dei suoi peccati a Dio e a tutti i sudditi,. Era molto devoto della Madonna la cui statua portava sempre con sé nelle battaglie in difesa del suo popolo contro la progressiva avanzata islamica, la cui invasione armata non significava la sconfitta di un re piuttosto che di un altro in una alternanza basata comunque sugli stessi valori e principi cristiani, bensì il rinnegamento della fede Cattolica e di Gesù Cristo, al quale re Ferdinando era devotissimo e fedelissimo, e di conseguenza il totale abbandono di tutto quel patrimonio della cultura cristiana anche dal punto di vista etico, civile, legale, artistico, sanitario, famigliare ecc., conquistato da oltre mille anni di cristianesimo, e fondato essenzialmente sul principio della libertà personale di scelta, che la mentalità dell’Islam ha sempre rifiutato e combattuto pena la morte.

            Certo, la guerra è sempre una cosa negativa, spesso conseguenza dei nostri peccati, dicono molti santi, tuttavia ci sono situazioni in cui si rende indispensabile. In questo periodo storico molto contorto e confuso, dove noi italiani ci consideriamo sempre i grandi benefattori dell’umanità che accolgono tutti i profughi del mondo offrendo loro quelle garanzie e benefici gratuiti che neppure a noi cittadini italiani sono concesse, altrimenti veniamo considerati razzisti, siamo indotti a pensare che quelli ci rispetteranno e ci saranno addirittura grati per tutto quello che offriamo loro. Invece non è così, perché loro stessi non fanno alcun mistero di manifestare che prima o poi ci sottometteranno, a iniziare da Roma, col rischio di trovarci addirittura in una terra non più nostra ma di loro proprietà nella quale possono disporre di tutto!!  Case, chiese, beni, donne, figli, uomini, bambini… a loro uso e consumo, soprattutto obbligandoci ad abiurare la fede cattolica per adorare Allah.

 In questi e altri casi, se per amore di pace, si preferisce seppellire assieme alle armi, anche la libertà e la dignità perché costringono le donne ad essere la terza moglie o la concubina di turno del capo vincitore, o sottraggono i figli ai genitori per farli “educare” dallo Stato, o pretendono alloggio cacciando i legittimi proprietari, ma quel che è peggio, obbligano ad adorare divinità pagane rinnegando la Fede cattolica in Gesù Cristo ecc. ecc. ecc. si potrà mai accettare la pace a queste condizioni? NO!!! Perchè sarebbe una finta pace, e allora anche la Chiesa, come ultima possibilità, ammette anche l’uso delle armi per difendere la vita e con essa anche tutti i valori che la compongono, soprattutto quelli derivanti dalla cultura e civiltà cristiana, fonte di gioia, di verità e di rispetto per l’altro..

 Ricordiamo che ci sono anche i santi combattenti per la Fede e la Libertà. A proposito di battaglie con l’avanzata islamica in Europa, ricordiamo brevemente le due famose battaglie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683) nelle quali i cristiani (vale a dire Italiani ed Europei quando non si vergognavano di chiamarsi così) hanno vinto non tanto con i pochi mezzi militari di cui disponevano, ma soprattutto con la recita costante del Santo Rosario da parte di tutte le popolazioni chiamate all’unisono dal Papa Pio V per la battaglia di Lepanto, mentre per la battaglia di Vienna, grazie alla Messa celebrata dal monaco cappuccino Marco Daviano che ha messo miracolosamente in fuga con poche perdite il nemico che avanzava con scimitarre e spade pronto a invadere Vienna e l'Europa.

            Adesso questo concetto di militanza per la libertà e la civiltà sta sfumando perché si vuole la pace per la pace, come valore assoluto, a costo di vivere schiavi dell’invasore per un piatto di minestra e col cappio al collo.

 

                 DON FERDINANDO RANCAN

 Oggi ricordiamo anche il nostro candidato alla santità, don Ferdinando Rancan, che ha avuto quel nome da uno zio, frate cappuccino di venerata memoria.

In questa occasione, vogliamo ricordare di lui un episodio molto particolare e doloroso, ma portato con grande fede quando aveva solo 18 anni ed era studente nel Seminario di Verona verso la fine della seconda guerra mondiale (1944/45)

Premessa:

Il padre di don Ferdinando, Giambattista Rancan, ceppo nativo della zona di Tregnago, Verona, morì in modo tragico mentre era guardiano notturno del cementificio di Tregnago “Italcementi” di cui hanno lasciato i resti come ricordo di quella grande azienda che aveva dato lavoro a molti operai della zona e che purtroppo commemorava anche alcuni morti per incidenti sul lavoro. Infatti In una notte piovosa e buia, il nostro Giambattista Rancan non si accorse di un silos che era rimasto aperto e vi piombò giù morendo qualche ora dopo che lo avevano estratto non vedendolo tornare di buon mattino.

            Qualche anno più tardi, Cornelio Marchi, lo zio di Ferdinando da parte della madre, Maria Marchi, venne assunto nello stesso cementificio al posto del padre e fu incaricato del controllo delle caldaie.  Non si sa in quale maniera, il povero Cornelio fu travolto dalle fiamme e trovato moribondo. Portato all’ospedale morì pochi giorni dopo, lasciando la povera moglie Elvira, zia Elvira come la chiamava Ferdinando, affranta, a maggior ragione perché aveva il figlio più grande, Giuseppe, al fronte, l’altro di 17 anni, Renato, apprendista panettiere e i due ultimi più piccoli alle scuole elementari.

            In quell’anno, inizio 1945, stava finendo la guerra e i tedeschi si ritiravano a gruppi dall’Italia portando spesso morte e distruzione dove passavano con rappresaglie punitive degne dei peggiori criminali che non erano più controllati da nessuno.

            In una di queste rappresaglie dei tedeschi, mentre il giovane Renato tornava dal panificio di buon mattino, un drappello delle SS passava di lì e caricarono sul loro camion alcuni passanti, tra cui Renato.  Senza tante mediazioni o ripensamenti, li presero e li fucilarono tutti un po’ fuori del paese, compreso Renato che era un ragazzino, il più giovane.

            Lascio immaginare la disperazione della mamma, Elvira, al pensiero che il marito era morto bruciato vivo, il figlio più grande, Giuseppe, in guerra senza avere notizie (tornò comunque vivo a guerra finita) e l’altro, Renato, che, per quanto poco, era l’unico sostentamento della famiglia, fucilato dai tedeschi.

            In questo frangente drammatico in cui non ci sono parole per consolare chi è colpito da simili disgrazie, il nostro seminarista Ferdinando, di appena 18 anni, scrisse una lettera alla zia Elvira che riportiamo qui sotto e che vale la pena leggere con calma perché indice di una fede, di un coraggio soprannaturale e di una grande partecipazione umana al dolore altrui, da parte di un semplice diciottenne, abituato però a vivere un rapporto con il Signore molto profondo e anche lui provato da molta sofferenza, sin da piccolo.

  

                               LETTERA A ZIA ELVIRA

 Zia carissima,    (Elvira)

 sono qui accanto al tuo dolore, tanto più straziante quanto più improvviso e inaspettato; e ti vedo come non ti ho mai vista, ti immagino come ho immaginato tante madri che alla sera, prima di coricarsi, si bagnano di lacrime cocenti l’amata figura del figlio che non tornerà più.

            Forse pensando al compagno della tua vita che a metà cammino ti ha lasciato, bruciato vivo martire  per tuo amore e per i tuoi figli; (zio Cornelio preso dalle fiamme durante il suo lavoro nello stesso cementificio dove aveva perso la vita il papà di Ferdinando), forse volando col pensiero al tuo Giuseppe lontano lontano, che, strappato dal tuo seno e dal suo focolare, da tanto tempo non vedi, straziata ora da questo nuovo colpo, sentirai nel fondo della tua anima ferita un vuoto largo e profondo, vivere ti sembrerà una cosa amara, amara che niente potrà raddolcire.  Renato non lo hai più, è un pensiero che stringerà in una morsa angosciata il povero tuo cuore.

            Oggi è passato Gesù e ha scaricato la sua croce pesante sulla tua porta, ma zia, non chiuderla quella porta, corri ad aprire, fallo entrare, è un dono che ti porta. Egli è stanco sfinito, ti domanda aiuto, e tu continua con Lui il tuo cammino. Arriverai al Calvario dove un’altra madre desolata, Maria, anche lei come te è straziata nell’anima, anche a lei, come a te, hanno assassinato il figlio! E glielo vedi lì sulle ginocchia, livido, lacerato, esangue. Prendi il tuo dolore, dallo a Maria, lei sa che cosa è amore di mamma!

            Cara zia, non piangere quando ti verranno nelle mani i vestiti del tuo Renato, quando vedrai ogni sera il suo letto vuoto. NO! Sii forte nel tuo dolore. E quando lo strazio ti farà sanguinare e la disperazione ti salirà alla gola, corri, nasconditi nel silenzio della Chiesa, guarda laggiù al Tabernacolo dove un Cuore sempre aperto e dolorante (che) saprà dirti quelle parole di vita eterna che gli uomini non sanno e non possono darti.

            Dillo a Gesù che glielo dai il tuo Renato, è Lui che te lo domanda, Lui che ti ha dato tutto se stesso. OFFRIGLIELO per questo povero mondo così malvagio impastato di odio e di errore. Gesù te lo domanda ma per poco tempo; e un giorno lo vedrai bello, glorioso, trionfante. Ed anche adesso non te lo senti, no, più vicino? E’ lì accanto a te insieme a Cornelio. Su, dunque, e per amore di quelle due creature che ti restano e che ti stringono i fianchi, non piangere.

            E’ bello soffrire quando si sa che Cristo ci ama, quando si sa che egli comprende e vede il nostro dolore, raccoglie e ricompensa ogni nostra lacrima.

            Ti abbraccio

                                        Tuo Ferdinando

 

 

 

 

sabato 19 aprile 2025

IL GRANDE GIORNO DELLA RESURREZIONE. di Ferdinando Rancan

                             LA RESURREZIONE DI GESÙ   

                  DAL LIBRO "IN QUELLA CASA C'ERO ANCH'IO" 
                                                                 
                                   di Ferdinando Rancan
                                        ed. Fede & Cultura


  L'ALBA DEL “GRANDE GIORNO   DELLA RESURREZIONE.  

      Alle prime luci dell’alba le donne erano già in piedi e si affaccendavano nei loro preparativi per andare al sepolcro. Sarebbero passate da Giovanna e con lei avrebbero fatto gli ultimi acquisti di aromi e di quant’altro fosse necessario per completare la sepoltura di Gesù. Quando partirono tornò il silenzio nella casa. 
     Noi, ancora mezzo indolenziti e sonnolenti, restammo nei nostri giacigli, tutti tacitamente d’accordo sul fatto che dovevamo recuperare sonno e riposo.
Era rimasta in casa solo Maria la quale, come sempre, si muoveva in silenzio, leggera come un angelo, per risparmiare rumori e fastidi al nostro riposo. Nel frattempo si era adoperata a prepararci la colazione del primo mattino.
Arrivarono intanto i primi raggi del sole e i primi rumori del giorno che misero fine al nostro riposo notturno. 
         Io, indossati in fretta sandali e tunica, mi mossi subito cercando di lei, di Maria. Salii al piano superiore, nella sala grande, il Cenacolo, sicuro che l’avrei trovata lì. Fu così, infatti, ma arrivato sulla porta della stanza mi dovetti fermare: nel vederla fui preso da uno strano senso di stupore e di trepidazione. Stava accanto alla finestra, immobile, come estasiata. Era soprattutto la sua figura a sorprendermi; sembrava un’altra persona: i suoi occhi scintillavano di gioia e di tenerezza, il suo volto era illuminato da un sorriso che mi ricordava quello del giorno dell’Annunciazione quando fu visitata dall’Angelo, tutta l’espressione del suo viso tradiva una felicità intima e misteriosa che doveva nascere da qualcosa di straordinario e di immensamente commovente.

Quando mi vide, mi venne incontro e, abbracciandomi forte: “Figlio mio, - cominciò - il nostro Gesù è ancora con noi! È ancora con noi!... Lo vedrai presto! Lo vedremo tutti! Non dobbiamo più temere, non dobbiamo più soffrire. Il dolore è finito, la paura è passata. Si è avverata la sua promessa, si è compiuta la sua parola. Sia ringraziato il Signore, nostro Dio, sia benedetto nei secoli! Egli ha realizzato per noi le meraviglie del suo amore, ha fatto trionfare la sua potenza e la sua misericordia!”.
Mi parlava con una commozione vivissima e indescrivibile, e nello stesso tempo, raccolta e dignitosa; non aveva nulla di scomposto e di eccitato. Solo alcuni lagrimoni le rigavano le guance come stelle luminose che brillavano di gioia. Stette in silenzio qualche istante; poi mi lasciò e si recò di nuovo alla finestra spingendo lo sguardo in direzione del sepolcro, poi verso il Tempio, poi in alto verso il cielo che andava tingendosi di rosa, poi ancora verso il Monte degli Olivi, infine tutto intorno come se contemplasse un panorama sconfinato o rileggesse in quei luoghi una struggente storia di dolore e di amore. Tutt’intorno tripudiava una primavera che riempiva l’aria di profumi e tingeva la luce di colori.
Venne di nuovo verso di me, si fermò a guardarmi con infinita tenerezza e tornò ad abbracciarmi come se volesse trasmettermi la sua gioia. 

Poi con voce sommessa, quasi mormorando, come se parlasse con sé stessa: “Era bellissimo! - continuò - Bellissimo! I suoi capelli erano tersi e splendenti, i suoi occhi traboccavano bontà e amore, le sue ferite erano pulite e vive, la sua carne luminosa, la veste bianca e splendente! Era bellissimo! Prese le mie mani fra le sue e le stringeva forte; erano ardenti e piene di tenerezza. Le guardai intensamente: erano mani vere, in carne ed ossa. Me le portai alle labbra coprendo le sue ferite di baci, finché Lui me le pose sul capo benedicendomi e infine mi strinse forte al suo Cuore in un abbraccio di paradiso. Era bellissimo!”.

Io, fino a quel punto, ero rimasto come interdetto, senza parole e senza pensieri precisi. Approfittai allora di quella pausa per chiederle che cosa mai significasse tutto questo e di che cosa intendesse parlarmi. Allora, come se improvvisamente si svegliasse da un’esperienza ineffabile e tornasse alla realtà: “Hai ragione, figlio mio - disse sorridendomi - hai ragione! Ma lo saprai, saprai tutto molto presto”. Poi si asciugò il volto, si ricompose nell’espressione e: “Andiamo, disse, andiamo a chiamare i tuoi amici. Hanno bisogno di cominciare la giornata con una buona colazione!”.
Pur sapendo che tutto il suo discorso si riferiva a Gesù, avrei voluto chiederle tante cose: “Com’era, da dove era entrato e da dove era uscito, che cosa le aveva detto e perché non s’era fatto vedere anche a noi...”; ma lei mi prese per mano e mi portò verso l’uscita del Cenacolo.

     Da "IN QUELLA CASA C'ERO ANCH'IO" 
                                   di Ferdinando Rancan
                                      ed. Fede e Cultura

sabato 5 aprile 2025

E' VERAMENTE TUTTA COLPA DEL VATICANO II?


 Non sono d' accordo che tutto il disastro nella Chiesa sia iniziato col Vaticano II perché la massoneria si era infiltrata nella chiesa in modo nascosto e subdolo sin dal famoso 1717 e anche secoli prima (ricordiamo l’eresia ariana del quarto secolo, dal nome del fondatore Ario, che aveva quasi del tutto invaso la chiesa con l’affermazione che solo il Padre può considerarsi vero Dio, con la conseguente negazione della divinità del Figlio Gesù Cristo. Finchè il grande Vescovo Sant’Atanasio, da solo! riuscì a fare chiarezza e ripristinare la verità).

Si potrebbe pensare che queste varie tipologie di eresie di antica data, sorte a seguito dell'evento super straordinario della nascita di Gesù Cristo, nulla centrano con la massoneria, che ufficialmente è nata nel 1717 a Londra, ma se si pensa che sotto il nome generico e forse anche vago di “massoneria” si nascondono tutti gli errori e gli orrori che possono commettere gli uomini malvagi contro Dio soprattutto dalla nascita di Gesù Cristo, vero Dio fatto uomo che ha sconvolto i piani diabolici di Satana, non ci si dovrebbe meravigliare più di tanto, ma semmai prenderne consapevolezza per poter combattere con le armi giuste della preghiera, sacramenti, penitenza, umiltà e infine… azione.

La massoneria comunemente intesa, comunque, esplose in modo violento in Italia dal famoso 1870 anno della nascita dello stato italiano a seguito della breccia di Porta Pia che ha spodestato la Chiesa del suo territorio e messo in fuga il vero papa Pio IX.

Che poi da allora la Chiesa sia di nuovo risorta più purificata di prima perché privata del potere temporale da gestire non sempre in modo equo, come si può intuire, dal momento che non centrava nulla con il governo dei veri Papi che è infallibile solo nel campo  strettamente dottrinale, è stato sicuramente un bene voluto da Dio che, attraverso un male come la guerra e la persecuzione, ha saputo ricavarne un bene spirituale e materiale per tutta la Chiesa universale e non solo quella italiana.

Per favore smettiamola di attribuire tutte le colpe della Chiesa sin dal suo sorgere al Vaticano II. Errore madornale messo in giro da certi tradizional sedevacantisti per giustificare la loro gravissima colpa di aver preferito uno scisma dalla vera Chiesa di Gesù Cristo che, da sempre formata da Santi ma anche da peccatori, ha comunque in sé stessa, per volontà di Gesù Cristo, tutta la “farmacopea” spirituale, vedi preghiere, sacramenti, suppliche, esorcismi, grazia, miracoli ecc. per sanare qualunque ferita, qualunque necessità, purchè lo si riconosca e lo si voglia perseguire, senza voler uscire dalla vera salvezza sbattendo la porta in faccia a coloro che, sia pure faticosamente con i loro errori ma tenacemente, vogliono continuare a rimanere nella “barca” di Pietro, unica vera fonte di salvezza su questa terra e poi nell’eternità.

Per questo Gesù ha istituito i Sacramenti che sono interventi divini soprannaturali per purificarci dai nostri peccati e vivere le virtù teologali e cardinali. Il Vaticano II ha dato Papi santi eccezionali perseguitati calunniati uccisi o minacciati di morte dai soliti massoni molti dei quali passati con tradizionalisti e Lefebriani. Costoro si sono infilati ovunque, non solo nella chiesa cattolica. Bergoglio non è stato una continuità con gli ultimi grandi Papi, ma una spaccatura tra l’ultimo vero Papa Benedetto XVI e tutto il resto della falsa Chiesa scismatica bergogliana che ci tocca subire obtorto collo finché Dio stesso non interverrà a fare chiarezza con i sistemi che lui deciderà, anche suscitando nuove forze spirituali in persone fedeli e umili che saranno il punto di riferimento per la nuova rinascita della Chiesa in vista del trionfo del Cuore Immacolato di Maria promesso dalla Madonna stessa a Fatima.

Pertanto rimaniamo ben arroccati a Gesù Cristo e alla sua vera Chiesa cattolica che vive perseguitata nelle catacombe, ma in attesa della sua resurrezione trionfale che ci auguriamo avvenga presto per volontà di Dio.

                                                patriziastella.com

 

 

martedì 4 marzo 2025

I QUARESIMALI E IL TEMPO PASQUALE


I QUARESIMALI

Riflessioni su “Il tempo pasquale e la Quaresima”

di Ferdinando Rancan


Brani dal libro “La moneta del tempo”

 

Introduzione

 

In questo periodo dell’Anno Liturgico che precede la Pasqua, definito “Quaresima”, la Chiesa ha sempre consigliato ai vari sacerdoti, parroci o religiosi, di preparare i fedeli attraverso predicazioni sul mistero della Passione di Gesù Cristo completate da preghiere e benedizioni, dette appunto “quaresimali” della durata di 40 giorni prima della festa della Santa Pasqua.

            Il numero “quaranta” ricorre spesso nella Sacra Scrittura: per 40 giorni Gesù rimase nel deserto a pregare in vista della sua passione; 40 giorni furono i giorni di durata del diluvio universale; 40 giorni fu il periodo in cui Mosè rimase in preghiera sul monte Sinai; il profeta Elia percorse il deserto per 40 giorni; l’esodo degli ebrei dall’Egitto alla terra promessa durò circa 40 anno ecc. ecc.

            Abbiamo pensato con l’occasione, di offrire ai nostri amici la lettura di alcuni scritti su questo argomento, di don Ferdinando Rancan, sacerdote diocesano in concetto di santità, che molti di voi hanno già conosciuto e apprezzato, anche se mai conosciuto in vita.

I brani che seguono sono stati copiati dal libro “La moneta del tempo” un calendario per l’anima, nel quale l’autore presenta e approfondisce il significato dell’anno liturgico che inizia col periodo di “Avvento” in preparazione al Natale, prosegue con le varie festività Liturgiche come la Pasqua, la Pentecoste, la Santissima Trinità, il Corpus Domini… e termina con la solennità di tutti i Santi e la festa di Cristo Re dell’Universo, ma si sofferma anche nel descrivere il significato di ogni giorno della settimana, in particolare della Domenica, con le varie devozioni ad essi attribuite e il loro collegamento con la Sacra Scrittura.

I Santi sono d’accordo nell’affermare l’importanza che ha una buona lettura spirituale fatta quotidianamente, magari solo per 10/15 minuti, però con costanza, soprattutto del Vangelo, perché si rischia altrimenti di rimanere con una formazione da bambini della Prima Comunione (ammesso che sia stata fatta bene anche questa preparazione coi tempi che corrono!), e poi si pretende di dare un giudizio su tutto ciò che accade nella Chiesa, anche dal punto di vista spirituale e teologico!! quando alla base della nostra formazione c’è spesso lo zero assoluto o l’ignoranza più evidente quando non anche la malafede nel giudicare fatti e persone che magari non spiccano per la loro santità. E’ come pretendere di spiegare le leggi della fisica quantistica con il diploma di terza media, eppure tutti o quasi si ritengono in grado di salire in cattedra e spiegare il perché della vita e della morte, del peccato e della redenzione, ecc. ecc.

Anche questo libro, come quasi tutti quelli di don Rancan, è chiaro, profondo ma anche semplice nella sua esposizione e ha il privilegio di riempire il cuore di gioia mano a mano che lo si legge perché come dice Gesù, “La Verità ci fa liberi” e la libertà rende felici.

Reperibile presso la Casa Editrice “Fede e Cultura” di Verona che lo invia a domicilio (tel. 045/941851).  Auguriamo a tutti buona lettura che ci permetta di conoscere non tanto una dottrina più o meno impegnativa, per quanto avvincente e affascinante, ma una figura umana-divina che ci ama personalmente, che ha dato la vita per ognuno di noi, che continuerebbe a darla nel modo più cruento per salvarci dal fuoco eterno dell’inferno, e questa figura meravigliosa si chiama GESU’ CRISTO.  Se non lo conosciamo, neppure possiamo seguire la sua dottrina e pertanto non possiamo dirci cristiani. Fare l’esperienza personale di Gesù come Uomo-Dio e di quanto ci ama, è stato spesso motivo della conversione dei più grandi Santi.  Buona lettura e buona Quaresima.

 

 

                                                 IL TEMPO PASQUALE

 N. 1     – Il mercoledì delle Ceneri

 

Il tempo pasquale comprende tre momenti liturgici di grande intensità: la Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste.

La Quaresima ci chiama alla conversione e alla lotta contro tutto ciò che nella nostra vita si oppone a Dio; la Pasqua celebra la passione, morte, risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo, il quale ci ha amati e ha dato sé stesso per noi; la Pentecoste ci comunica i frutti della Pasqua, cioè lo Spirito Santo e la Chiesa. E' un periodo di quattordici settimane, e risulta dalla dilatazione progressiva della Veglia pasquale che veniva celebrata con grande solennità nelle prime comunità cristiane.

            La Quaresima inizia nel Mercoledì delle Ceneri con un austero rito penitenziale. Le ceneri, ottenute per incenerimento dei ramoscelli d'olivo, hanno avuto fin dall'antichità un significato penitenziale. "Sedere nella cenere" significava riconoscere la propria povertà e la propria nullità. La Chiesa utilizza questo significato imponendoci le ceneri sul capo per aiutarci ad abbandonare ogni nostra superbia. Si sa, la superbia è la radice di ogni peccato e perciò è il più radicato dei vizi umani. Si dice che la superbia muore un giorno dopo la nostra sepoltura ed è così connaturata al nostro animo da non poterla riconoscere e smascherare senza l'aiuto della grazia di Dio.

            Inoltre, ce ne dimentichiamo così facilmente che la Chiesa nel rito delle Ceneri quasi ci invita a metterci davanti alla nostra tomba dicendoci: "Ricordati che sei cenere, e in cenere ritornerai!". La Chiesa nel ricordarci la poca cosa che siamo non intende scoraggiarci nei nostri progetti di bene o nei nostri sforzi nobili e coraggiosi di impegno in questo mondo come se proclamasse l'inutilità di tutto ciò che facciamo, vuole semplicemente invitarci a deporre ogni superbia, ogni considerazione falsa e disordinata di noi stessi, ogni appropriazione ingiusta dei doni di Dio come se fossero merito nostro di cui gloriarci davanti agli uomini.

            La superbia non solo ci impedisce di riconoscere Dio e quindi di orientare verso di Lui la nostra vita (conversione), ma ci impedisce anche di riconoscere i nostri peccati e quindi di pentircene e di emendarli con la penitenza. La superbia è il vero nemico dell'anima ed è l'unico peccato che ci fa somiglianti a Lucifero. Perciò la Chiesa imponendoci le Ceneri ci invita all'umiltà e ci addita il cammino penitenziale della Quaresima, che si può riassumere nelle tre indicazioni che Gesù stesso ci ha dato: preghiera, elemosina e digiuno.

            La preghiera è l'aprirsi dell'anima a Dio: è la conversione, l'inizio della fede; l'elemosina è il dischiudersi del cuore verso il prossimo: è la misericordia con le sue opere, segno certo della contrizione del cuore, “l'elemosina - infatti - copre la moltitudine dei peccati"; il digiuno è il dischiudersi del corpo e dei nostri sensi alla riparazione: è la penitenza.  In tutto questo occorre la sincerità interiore. Proprio nel giorno delle Ceneri, parlandoci della preghiera, del digiuno e dell'elemosina, il Signore nel Vangelo ci mette in guardia dall'ipocrisia. Gesù parla dell'ipocrisia di fronte agli uomini, ipocrisia che ci porta ad agire tenendo conto del giudizio e del plauso umano, ma essa nasce dall'ipocrisia interiore, quella che ci porta alla penitenza, alla preghiera e alle opere buone ma senza una vera umiltà, senza una lotta sincera contro tutto ciò che ci allontana da Dio, e senza il fermo proposito di usare i mezzi idonei per una vera conversione.

Presentandoci Gesù lottatore contro il maligno, la Liturgia ci invita ad una più rigorosa austerità nella vita, ad essere più forti nel respingere il male e più decisi nel volere il bene. La società del benessere e del facile consumismo in cui viviamo, ci ha resi tutti più fragili, più deboli, più restii al sacrificio e all'impegno. All'inizio della Quaresima ci viene estremamente opportuno ricordare l'avvertimento di Gesù: il Regno dei Cieli esige "violenza" e solo i violenti lo possono conquistare.

  

N. 2-   – L’itinerario quaresimale

 La Quaresima assunse così il significato di un cammino verso la Pasqua con riferimento soprattutto al Battesimo. Particolari esercizi penitenziali erano previsti per due categorie di persone: i catecumeni e i penitenti. La Quaresima dei catecumeni era pre-battesimale e aveva lo scopo di preparare al battesimo i convertiti attraverso un'assidua catechesi sulle verità della fede cristiana e una purificazione della condotta che garantisse il cambiamento di vita dalle abitudini pagane.

            La Quaresima dei penitenti era post-battesimale ed era ordinata alla riconciliazione dei pubblici peccatori che, allontanati dalla comunità per la loro condotta, venivano sottoposti a pubblica penitenza, in "cenere e cilicio", prima di essere ammessi a partecipare all'Eucarestia; la riconciliazione avveniva appunto nel giovedì santo.

            Per noi oggi la Quaresima potrebbe rivestire spiritualmente ambedue i significati: catecumenale e penitenziale. Noi abbiamo già ricevuto il battesimo, ma la ricchezza di questo sacramento è tale da non essere mai esaurita; tutta la vita cristiana è vita battesimale e si configura come un progressivo sviluppo della grazia e della vita divina ricevute nel battesimo. Inoltre, il battesimo è anche il sacramento della fede, e la fede è suscitata in noi dalla Parola di Dio. Ora, la Parola di Dio richiede un continuo ascolto interiore senza il quale la fede battesimale rimarrebbe come un seme inaridito e infecondo. La stessa santità cristiana non è che la pienezza della vita battesimale. Ogni cristiano è perciò un battezzato e insieme un catecumeno.

            L'aspetto catecumenale della Quaresima giustifica la centralità e l'importanza della Parola di Dio durante questo tempo liturgico. Troppi cristiani sono rimasti allo stadio infantile nella loro formazione religiosa o non hanno saputo assimilare né approfondire quello che hanno ricevuto; per molti, poi, la contro-catechesi delle teorie laiciste e della mentalità secolarizzata, così abbondantemente dispensata dai mass-media, si è sovrapposta alla prima semina del Vangelo nella loro anima fino a rendere l'insegnamento di Cristo completamente ininfluente sulla loro vita. Per molti battezzati è perciò necessaria una rievangelizzazione, e comunque per tutti noi è indispensabile un ascolto più sincero e interiore della Parola di Dio. Ci serve perciò un accostamento umile e profondo alla catechesi della Chiesa per alimentare quella fede ricevuta nel battesimo, fede che dev’essere tanto più forte ed efficace quanto più lontano da essa, e spesso ostile, è l'ambiente in cui dobbiamo viverla e testimoniarla.

            L'aspetto penitenziale della Quaresima interessa ugualmente tutti i cristiani. La nostra prima conversione, e lo stesso sacramento del battesimo, non hanno tolto dalla nostra anima le radici del peccato, né hanno spento le inclinazioni al male; esse restano in noi e sono la causa di tanti nostri cedimenti, debolezze e peccati personali. Siamo dunque tutti peccatori, bisognosi di penitenza e di continua conversione. La Quaresima si caratterizza così come "tempo forte", tempo di lotta e di impegno ascetico. E' una lotta che si conduce su più fronti, perché il male non è solo dentro di noi, conta anche alleati esterni che agiscono nel mondo come nemici di Dio: il demonio e lo spirito mondano.

 

 N. 3.   LA PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

             La Prima domenica di Quaresima ci presenta subito la figura di Cristo come lottatore: affronta il demonio che lo aggredisce con le sue tentazioni. Gesù subì soltanto tentazioni esterne dal momento che la sua perfetta integrità morale e la sua assoluta santità non erano compatibili con il disordine della concupiscenza e con le inclinazioni al male - tentazioni interne - che caratterizzano la nostra condizione di peccatori: “Fu in tutto simile a noi tranne che nel peccato" dirà San Paolo. Gesù tuttavia volle essere tentato dal diavolo per due motivi: primo, per riparare la nostra sconfitta. Il demonio infatti travolse i nostri progenitori con le sue suggestioni; ora egli continua ad agire nel mondo e, non potendo far nulla contro Dio, si accanisce contro l'uomo, cioè contro la creatura che porta il sigillo e l'immagine di Dio. Gesù mettendosi al nostro posto sostituì la nostra sconfitta con la sua vittoria. Secondo motivo, volle essere tentato per insegnarci come dobbiamo lottare e vincere nelle nostre tentazioni. Innanzitutto egli ci insegna a smascherare l'inganno. Ogni tentazione è essa stessa un inganno, è il tentativo di far apparire come bene ciò che non lo è, di farci credere che troveremo la felicità in ciò che appaga la nostra superbia e la nostra concupiscenza anche se offende Dio e va contro la sua volontà. Il demonio usa le cose buone per tentarci al male, così come ha usato la Parola di Dio per tentare Gesù.

In secondo luogo, Gesù ci insegna a non discutere con la tentazione; egli semplicemente la respinge. Il primo cedimento sta nel dialogare con il nemico; occorre invece prevenire, fuggire le occasioni, resistere prontamente e con decisione spegnendo le prime avvisaglie di suggestione.

            In ogni caso occorre conservare una grande fiducia in Dio che non ci lascia mai soli nella prova, e una serenità interiore che ci mantenga la lucidità di coscienza. La tentazione, per quanto violenta, sfacciata e accompagnata da turbamenti sensibili, non è ancora peccato finché non c'è la nostra piena e consapevole accettazione. Spesso il Signore permette che siamo tentati per saggiare la nostra fedeltà, per mantenerci umili e vigilanti dandoci una più profonda conoscenza di noi stessi, e per farci acquistare esperienza che ci conduca a comprendere, amare ed aiutare i nostri fratelli nelle loro cadute. Del resto, nessuno può mai vincere una tentazione senza la grazia di Dio. Perciò è indispensabile la preghiera, che diventa la nostra arma più efficace e, se umile e perseverante, sorgente sicura di vittoria. In fondo, il primo e peggior nemico che abbiamo siamo noi stessi; il demonio, dice S. Agostino, è un cane legato a catena che, abbaiando, cerca di impaurirci, ma morde solo quelli che gli si avvicinano. Le promesse battesimali contengono un categorico rifiuto di seguire il demonio: "Rinunci a Satana, causa e origine di ogni peccato?" - "Rinuncio!".

            L'aspetto battesimale e l’aspetto penitenziale della Quaresima, presentandoci Gesù lottatore vittorioso sul male che c'è in noi e nel mondo servono anche a ricordarci che la nostra vita sulla terra è una milizia, una milizia che, se lo vogliamo, avrà l'appannaggio della vittoria perché Lui ha vinto.

 

 N. 4.   Aspetto sacrificale della Pasqua di Cristo

 La Quaresima, come ogni itinerario, ha la sua meta: è l'incontro con Cristo nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione. L'itinerario battesimale della Quaresima approda alla Pasqua sacrificale di Cristo: il Battesimo conduce all'Eucaristia. Abbiamo visto che il battesimo ci ricorda l'aspetto salvifico della pasqua prefigurato nella pasqua ebraica dell'Esodo, mentre l'Eucaristia ci ricorda la pasqua sacrificale di Cristo. I due aspetti sono intimamente legati tra loro perché non ci può essere l'uno senza l'altro. Il Battesimo e l'Eucaristia sono sgorgati dal sacrificio di Cristo: "dalla ferita del suo fianco effuse sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa". Dunque il centro della Pasqua cristiana è il sacrificio della Croce. Infatti, prima di essere un atto salvifico che ripara i nostri peccati, il sacrificio di Cristo è un atto di culto a Dio, un atto di obbedienza al Padre, e diventa salvifico proprio perché è un atto di adorazione al Padre.

            C'è un episodio dell'Antico Testamento che ci ricorda l'aspetto sacrificale della Pasqua cristiana ed è riportato in una delle sette letture bibliche che si leggono nella Veglia della notte di Pasqua: l'episodio del sacrificio compiuto da Abramo. Abramo aveva avuto miracolosamente un figlio, Isacco, che secondo la promessa di Dio doveva garantirgli la discendenza "numerosa come le stelle del cielo e come l'arena del mare". Ma, quando fu cresciuto, Dio lo chiese ad Abramo in olocausto. Quel figlio era il suo unigenito, in lui Abramo aveva riposto tutto il suo amore, la sua speranza, il suo futuro. Il racconto, scarno e lineare, è carico di intensità drammatica: Isacco, con il carico della legna sulle spalle, seguiva il padre che lentamente saliva il monte Moria, l'attuale Calvario. Il silenzio pesava più del sudore, più della fatica, più della montagna. Improvvisamente una domanda, greve come il rumore dei passi: "Padre mio!... Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?" - "Dio provvederà, figlio mio!" E sul monte Moria Dio provvide; vi fece trovare l'agnello per il sacrificio. Anche Cristo, portando la croce sulle spalle, salì il Calvario seguendo la volontà del Padre e offrendo sé stesso come Agnello innocente, fu sacrificato al posto di tutti noi.

            A questo episodio non si dà, di solito, un significato strettamente pasquale, e tuttavia è l'episodio che più di ogni altro si addice, profeticamente, al sacrificio di Cristo; viene infatti ricordato nella prima Prece eucaristica della Messa. Fu un sacrificio di obbedienza, cioè di adorazione alla volontà del Padre. In questo sta tutto il valore della passione e della morte di Gesù. Le terribili sofferenze fisiche e gli stessi insulti e umiliazioni subite nella passione non hanno avuto la durezza e il peso di dolore e di ripugnanza che ha avuto il sì obbedienziale che Gesù ha pronunziato nell'agonia del Getsemani.

            In quella notte Gesù era irriconoscibile: cominciò a tremare di paura e, preso da tristezza mortale, cadde con la faccia a terra come un cencio. "In preda all'angoscia, pregava più intensamente; il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra". Nessuno mai potrà misurare quello che Gesù ha provato nella sua anima in quella "agonia". - Padre, passi da me questo calice! - Non era il calice delle sofferenze fisiche, non era il calice degli insulti e dei maltrattamenti, era il calice della "sconfitta", della maledizione legata al peccato. La croce era il segno che Dio aveva "abbandonato" suo Figlio alla sconfitta di fronte agli uomini. Una sconfitta senza possibilità di rivincita; sconfessato dai suoi e da tutti gli uomini, Gesù apparirà sconfessato anche da Dio. "Discendi dalla croce e ti crederemo (...) Ha confidato in Dio; lo liberi ora, se gli vuol bene, poiché ha detto sono Figlio di Dio!

            La Lettera agli Ebrei allude a quella "agonia" di obbedienza  quando scrive: "...egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lagrime a Colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì... "Fu esaudito..." non nel senso che gli fu risparmiata l'umiliazione e la morte, ma nel senso che fu reso capace di quella obbedienza salvifica che lo portò ad accettare la "maledizione" e la sconfitta della croce. Lo liberò infatti dall'angoscia e dalla tristezza mortale che lo aveva schiacciato nell'Orto degli olivi. Egli non si difenderà; non tornerà in piazza a convincere i suoi avversari della sua innocenza e a mostrare agli uomini la sua potenza e la sua vittoria sulla morte. Accetterà di risorgere e salire al cielo esclusivamente per la gloria del Padre, rinunciando ad ogni significato di rivincita umana davanti al mondo e anche davanti ai suoi apostoli. Fu liberato dall'angoscia e dalla morte interiore "per la sua pietà", per la sua consapevolezza di figlio di Dio che obbediva al Padre. Un angelo fu la conferma che il Padre aveva accolto la supplica straziante del suo Figlio diletto.

            Gesù uscì da quella orazione trasformato; era tornato quello di sempre: forte, sicuro di sé, padrone delle situazioni... Perciò la sua inspiegabile remissività di fronte ai suoi nemici riempì di stupore gli Apostoli che, incoraggiati perfino dalla difesa che Gesù prese per loro, lo abbandonarono e fuggirono. Gesù subirà con estrema consapevolezza e dignità l'esecuzione materiale di ciò che egli aveva accettato nel Getsemani con piena e filiale adesione alla volontà del Padre.

            La morte di Gesù ha dunque, agli occhi del mondo, le apparenze di una sconfitta, di un fallimento, ma agli occhi della nostra fede essa è stata un "sacrificio", cioè un atto di culto a Dio. Ciò significa che Gesù non è morto per circostanze fatali, sopraffatto dai suoi nemici che alla fine hanno avuto ragione di lui; non è stato un eroe di questo mondo che dopo aver lottato per la giustizia e altri nobili cause, soccombe travolto dall'astuzia e dalla perfidia degli uomini. Gesù è morto perché l'ha voluto lui; egli volontariamente si è consegnato alla morte in obbedienza al Padre. E lo ha fatto quando ha voluto lui, quando venne "la sua ora", quella segnata dal Padre. Molte volte i suoi nemici avevano tentato di catturarlo, ma egli non lo permise mostrandosi ogni volta padrone delle situazioni e degli avvenimenti. "Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo"

            Di più: l'atto stesso della sua morte non è stato pura conseguenza dei maltrattamenti della passione - molti hanno cercato inutilmente di spiegare la causa ultima della morte di Gesù -; Gesù stesso ha deciso il momento di dare la sua vita. Quando Gesù, dando un forte grido, esclama: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" e muore non ha fatto semplicemente un atto di fiducia e di filiale abbandono nelle mani del Padre, ma ha compiuto un vero atto oblativo e sacrificale di sé stesso. In definitiva, Gesù non subisce la morte, ma offre la vita. Perciò il suo sacrificio fu l'atto supremo dell'amore, fu tutto e solo amore.

            Questa fu la pasqua sacrificale di Gesù, che egli portò a compimento sulla croce, completamente annientato, elevato da terra, nudo, sconfitto e fallito. E questo fu il prezzo della nostra salvezza, della nostra pace, della nostra felicità eterna. Nell'Eucaristia Gesù continuerà questa presenza sacrificale, e la Pasqua del cristiano sarà la partecipazione a questa Pasqua del Signore, finché egli venga.

  

N. 5     – Un personaggio tra gli altri

 Abbiamo visto qual è l'essenza della pasqua sacrificale di Gesù, pasqua di morte e di risurrezione. Vediamo ora come la liturgia "fa memoria" di tutto questo nelle celebrazioni della settimana santa. E' chiamata la "Settimana grande". In questa settimana le celebrazioni liturgiche si armonizzano con i fatti storicamente accaduti negli ultimi giorni della vita di Gesù sulla terra. Questa storicizzazione della liturgia ha portato forse ad attenuare l'intensità celebrativa della Grande Veglia pasquale, che nei primi secoli della Chiesa costituiva il momento culminante di tutto l'Anno Liturgico. In compenso ci aiuta ad entrare più facilmente nella vita di Cristo e a riviverne i momenti più significativi e umanamente più intensi. Abbiamo già ricordato altre volte quello che il Beato Escrivà ha ripetutamente insegnato, che cioè, leggendo il Vangelo, dobbiamo saper metterci negli episodi che leggiamo come un personaggio tra gli altri.

            Perciò nella domenica di Passione, detta delle Palme, ci metteremo anche noi tra i discepoli che accompagnano Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme per acclamarlo nostro re; nei giorni successivi ci porteremo anche noi nel tempio ad ascoltare gli ultimi discorsi di Gesù e rattristarci per la durezza di cuore dei capi del popolo, suoi irriducibili avversari; parteciperemo alla tristezza di Gesù che invano cerca di dissuadere Giuda dal suo complotto con i sommi sacerdoti; e poi anche noi ci metteremo a tavola con gli apostoli nell'ultima Cena e lasceremo che il Signore ci lavi i piedi per imparare anche noi la carità fraterna; ascolteremo le intime confidenze di Gesù e lo seguiremo nell'orto degli olivi cercando i non lasciarlo solo, combatteremo il sonno e la stanchezza della nostra anima; anche noi, con gli apostoli rifugiatisi nel Cenacolo, aspetteremo le notizie che di tanto in tanto arrivano sul precipitare degli eventi: il racconto di Pietro in lagrime per non aver saputo testimoniare il suo maestro, i discepoli che ci aggiornano sui processi sommari e ridicoli contro Gesù, e magari anche noi ci mescoleremo alla gente e assisteremo impotenti e in lagrime agli insulti e ai maltrattamenti contro il Signore, sentiremo le grida della folla che chiedeva Barabba, e infine, dietro un'angolo della strada, aspetteremo il passaggio di Gesù con il suo pesante legno sulle spalle, stremato, irriconoscibile sotto una crudele maschera di sputi, di polvere e di sangue, e se ci sorregge un po' di audacia seguiremo Giovanni, le donne e soprattutto la Vergine Santa per arrivare anche noi sul Calvario, e lì, immersi nello stupore di tutto il creato che si oscura di tristezza davanti al suo Creatore crocifisso, raccoglieremo le ultime parole di dolore, di amore e di misericordia che usciranno dal petto di Gesù: le parole rivolte al ladrone, quelle rivolte alla Madre che, lì sotto la croce, sostiene tutti noi con la sua fede e con la sua fortezza, e soprattutto le forti grida d'invocazione e di supplica al Padre che nei cieli accoglie il supremo sacrificio del suo Figlio diletto: “Padre!.. Tutto è compiuto!. perdona a loro perché non sanno quello che fanno ... Nelle tue mani consegno il mio spirito!".

            Poi aspetteremo che la folla se ne vada, raccoglieremo le ultime gocce di sangue che sgorgheranno dal suo fianco trafitto e insieme a Giuseppe D'Arimatea e a Nicodemo caleremo dalla croce quel corpo disfatto per consegnarlo all'abbraccio dolente e tenerissimo di Maria; con le donne lo puliremo dalla sporcizia, dai grumi di sangue, dalle croste di sudore, e baceremo quelle ferite con dolore d'amore spalmandole poi di aloe e di mirra, ricoprendole con la sindone nuova, pulita e odorosa, e avvolgendolo con le bende e con le fasce...; e dopo tanta fatica e tanto dolore lo affideremo al riposo di un sepolcro nuovo in attesa - noi ora lo sappiamo bene! - del suo risveglio nella gloria.

 

                                                      *****************************

  

NOTA. Prima di addentrarci nel capitolo dedicato alla domenica del “Trionfo delle Palme” riportiamo due capitoli che l’autore ha voluto dedicare al significato e alla distinzione della festa della Pasqua: quella ebraica e quella cristiana.  In tal modo ci dovrebbe essere più facile anche la comprensione del significato penitenziale che la Chiesa cattolica ha inteso dare al periodo della Quaresima, detto anche “periodo forte”, cioè di maggior impegno spirituale di purificazione personale e comunitaria.

  

N. 6 – La Pasqua ebraica

 La Pasqua è il culmine della Storia della salvezza; è perciò il cuore di tutto l'anno liturgico. Riguardo a Cristo, la Pasqua è il completamento della sua Incarnazione; è la realizzazione estrema della sua "spoliazione" - "annientamento" la chiama S. Paolo - avendo accettato di assumere la nostra umanità fino alla sua condizione di condanna e di morte. "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina (Figlio di Dio), non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini (Incarnazione); apparso in forma umana (Natale), umiliò sé stesso (Passione), facendosi obbediente fino alla morte (agonia) e alla morte di croce (Morte). Per questo Dio l'ha esaltato (Risurrezione) e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Redentore universale e Capo della Chiesa), l'ha costituito Signore (Re e giudice) a gloria di Dio Padre (Ascensione). Questo inno di S. Paolo abbraccia tutto il Mistero di Cristo e ricapitola l'opera sublime della salvezza.

            Quanto a noi, la Pasqua è "transitus Domini", il passaggio del Signore; come Gesù, e insieme con lui, anche noi passiamo dalla morte alla vita. Cristo ci libera dalla condizione di schiavi e ci fa passare alla libertà di figli. Questo "passaggio" dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla grazia, è stato prefigurato da ciò che Dio aveva compiuto nell'Antico Testamento per i figli di Israele quando "passò" per liberarli dall'Egitto, come narra il libro dell'Esodo. Fu la Pasqua ebraica che possiamo considerare come "Epopea della Salvezza".

            Quella sera gli Ebrei sacrificarono l'agnello e con il sangue segnarono le porte delle loro case. Nella notte "passò" il Signore e fece giustizia sui primogeniti dell'Egitto risparmiando le case degli Israeliti. Essi poterono così partire e, guidati da Mosè, passarono il Mar Rosso per incamminarsi verso la Terra promessa. Quel rito doveva ripetersi ogni anno al plenilunio di primavera, di generazione in generazione. "Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? Voi direte loro: E' il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è "passato oltre" le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case".

            La Pasqua ebraica aveva valore di segno, era una figura profetica della Pasqua di Cristo: Gesù è il vero agnello che toglie i peccati del mondo, la sua immolazione è il vero Sacrificio che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato, il suo Sangue ha sancito la nuova Alleanza che sostituirà per sempre l'antica Alleanza sancita dal sangue dell'agnello. In Gesù, morto e risorto, Dio realizza tutte le sue promesse e dà compimento alla salvezza del mondo.

            Dicevamo che ogni cristiano è chiamato a morire e a risorgere con Cristo per essere, in Lui, una "creatura nuova". La Pasqua di Cristo diventa così la Pasqua dei cristiani. Tutto si compie nella Chiesa per opera dello Spirito Santo che attua in ogni credente il mistero pasquale di Cristo. Proprio nella Liturgia pasquale la Chiesa unisce nella celebrazione liturgica la Pasqua di Cristo e la Pasqua dei cristiani.

  

N. 7 – La Pasqua cristiana

 Il tempo pasquale è chiamato dalla Chiesa "tempo forte", forte perché fondamentali sono le verità che vengono ricordate, ma forte anche per i temi della vita cristiana che vengono riproposti. Il cristiano è colui che nasce dalla Pasqua di Cristo; è colui che rivive il mistero di morte e risurrezione del Signore.

            Gli Ebrei celebravano la Pasqua come un rito "per non dimenticare", un memoriale che ricordava quello che Javhè aveva compiuto con i loro padri. Era quindi un rito di lode e di ringraziamento al Dio d'Israele per i grandi benefici che egli aveva concesso al suo popolo.

            La Pasqua di Cristo non fu un rito ma un "mistero", cioè un reale intervento di Dio nell'umanità di Cristo. Dio volle rinnovare tutta l'umanità e l'intera creazione secondo il suo disegno di salvezza attraverso l'offerta sacrificale di suo Figlio fatto uomo. La Pasqua di Cristo ha dunque un valore ben diverso dalla Pasqua ebraica, non solo perché questa era la "figura" e Cristo è la "realtà", ma anche perché Cristo, nella sua Pasqua, unisce intimamente l'aspetto salvifico all'aspetto sacrificale: Cristo è Redentore e insieme Sacerdote eterno. La Pasqua dell'Esodo, infatti, rivestiva soprattutto un significato salvifico: l'agnello pasquale serviva per segnare col sangue le porte degli Ebrei e così salvare il popolo dal giogo del Faraone e i primogeniti dallo sterminio; la Pasqua di Cristo riunisce in sé i due aspetti, quello salvifico e quello sacrificale: proprio perché fu un sacrificio di adorazione al Padre, la Pasqua di Cristo ebbe un valore salvifico per tutta l'umanità.

            Anche nella Pasqua cristiana ritroviamo tutti e due gli aspetti: la Pasqua cristiana è rito ed è mistero; è rito perché richiama i segni salvifici della Pasqua ebraica, ed è mistero perché contiene la realtà del Sacrificio di Cristo. La Chiesa perciò chiama la Pasqua cristiana: Sacramenta paschalia: i Sacramenti pasquali. I Sacramenti che hanno significato pasquale sono il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo ci ricorda e attua in noi l'aspetto salvifico della Pasqua, aspetto prefigurato nella liberazione degli Ebrei dall'Egitto attraverso le acque del Mar Rosso; l'Eucaristia ci ricorda e attua in noi il sacrificio di Cristo nella sua Pasqua di morte e resurrezione. Tutta la Liturgia pasquale è insieme Liturgia battesimale e Liturgia eucaristica. Gesù stesso chiama la sua morte un "Battesimo".

            Nel richiamare queste realtà è necessario da parte nostra uno sforzo di riflessione. C'è il pericolo infatti che noi ascoltiamo queste cose e le sentiamo come lontane nel tempo ed estranee alla nostra situazione attuale, alla nostra realtà quotidiana. Queste sono certamente cose di Dio - pensiamo - e deve farle lui, noi abbiamo le nostre cose - il lavoro e i suoi problemi, la famiglia e le sue necessità, la società e le sue vicende... - e dobbiamo pensarci noi. Abbiamo già detto che la Storia di Dio (storia sacra) e la storia dell'uomo non sono due storie parallele; Dio agisce dentro la storia dell'uomo e il tempo della salvezza è presente in ogni momento della nostra vita. Parlando della fede come strada che conduce la nostra esistenza terrena, dicevamo che la fede è "vedere" presente nella mia vita il Dio-che-salva. Dobbiamo chiedere alla Madonna che "portava tutte queste cose meditandole nel suo cuore", di sentirci anche noi "interessati a quanto Dio ha fatto e continua a fare nel mondo. La vita del cristiano è una vita pasquale, è la vita di Cristo morto e risorto che in qualche modo continua in noi.

 

 N. 8 – Il “trionfo” delle Palme

 Possiamo rivivere tutto questo nel silenzio e nel raccoglimento della nostra anima mentre partecipiamo ai riti liturgici della Settimana Santa, soprattutto la liturgia del Triduo pasquale culminante nella grande Veglia della notte di Pasqua.

La settimana comincia nel segno del trionfo e della gloria; Gesù entra nella città santa accompagnato da manifestazioni messianiche: Osanna al Figlio di David! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Gesù stesso organizza il suo corteo trionfale, e c'è in tutti la convinzione che il regno messianico è ormai inaugurato. La folla che accompagnava Gesù deve essere stata abbastanza numerosa per la presenza di molti pellegrini che dalla Galilea salivano a Gerusalemme per la Pasqua, e formata soprattutto dai suoi discepoli; anche le manifestazioni avevano assunto un significato spiccatamente messianico con aspetti anche trionfalistici.

            In questa domenica la liturgia si veste di rosso, il colore della regalità, ma anche il colore della passione e del martirio; i due aspetti si richiamano perché dietro il trionfo c'è la passione e soprattutto perché Cristo regnerà dalla croce. La celebrazione liturgica coglie quindi il mistero che è presente dentro ogni episodio della vita di Cristo e lo celebra nella solennità del rito. Noi partecipiamo alla celebrazione cercando con l'aiuto della fede di entrare intimamente nel mistero di Cristo; ma ci sono due particolari nella vicenda di questa giornata che meritano di essere meditati, particolari che appaiono nel Vangelo e dei quali uno solo è ricordato dalla liturgia: l'asinello come uno dei protagonisti del corteo di Gesù e il pianto del Signore su Gerusalemme.

            Presso gli Ebrei ed altri popoli dell'antichità, l'asinello era la nobile cavalcatura dei re e dei dignitari, e voleva indicare, a differenza del cavallo che significava guerra e prepotenza, la mansuetudine e la pace; tale lo proclamò il Profeta Zaccaria e Gesù col suo gesto volle dire esplicitamente che egli veniva, come re di pace, a dare compimento a quella profezia messianica.

            L'asinello arrivò così a suscitare l'invidia di molti santi. Portare Cristo nel suo trionfo, portare Cristo nel mondo, fu il sogno e l'umile ambizione di molte anime grandi. Scrive S. Ambrogio: "Dall'animale mansueto di Dio, impara a portare Cristo (...) impara ad offrirgli con gioia la groppa; impara a stare sotto Cristo, perché tu possa stare al di sopra del mondo!". Ma colui che più di ogni altro ci ha lasciato una visione lirico-ascetica dell'asinello è stato san Josemaria Escrivà. Ecco uno dei suoi numerosi passi proprio a commento dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme: "Gesù accetta di avere per trono un povero animale. Non so se capita anche a voi, ma io non mi sento umiliato nel riconoscermi dinanzi al Signore come un somarello:" Sono come un somarello di fronte a te , ma sono sempre con te, perché tu mi hai preso con la tua destra", tu mi conduci per la cavezza.

            “Pensate un po' alle caratteristiche di un somaro, ora che ne restano così pochi. Non pensate all'animale vecchio e cocciuto che sfoga i suoi rancori tirando calci a tradimento, ma l'asinello giovane, dalle orecchie tese come antenne, austero nel cibo, tenace nel lavoro, che trotta lieto e sicuro. Vi sono centinaia di animali più belli, più abili, più crudeli. Ma Cristo, per presentarsi come re al popolo che lo acclamava, ha scelto lui. Perché Gesù non sa che farsene dell'astuzia calcolatrice, della crudeltà dei cuori aridi, della bellezza appariscente ma vuota”.

  

N. 9 – Il pianto di Gesù

 L'altro particolare che i Vangeli riportano non ricordato dalla Liturgia è il pianto di Gesù sulla sua città. E' un pianto che ci lascia profondamente turbati; non tanto perché avviene nel momento culminante del suo trionfo, ma soprattutto per il suo significato e per il motivo che l'ha provocato. Arrivato alla sommità del Monte degli Olivi, il corteo si accingeva a scendere su Gerusalemme attraverso la valle del Cedron. Da quel punto, la Città santa si presentava in tutta la sua bellezza. I tetti dorati del tempio risplendevano al sole del primo mattino in una primavera già piena di splendore, le sottostrutture alla spianata del Tempio presentavano tutta la loro imponenza e la loro forza, la città era un incanto, era lì come da secoli l'avevano sognata i profeti: una "visione di pace" - beata pacis visio - destinata ad essere la città-dimora di Dio, la "Sposa di Jawè", la madre di tutte le nazioni, a lei sarebbero venuti tutti i popoli della terra perché in lei Dio avrebbe compiuto le sue meraviglie e avrebbe fatto risplendere la sua gloria.

            Invece, la città santa ha mancato alla sua vocazione, la città eletta e amata da Dio non ha corrisposto al suo amore, non ha conosciuto il tempo della visita del suo Dio; essa, "Città della pace" non ha compreso la via della pace. Perciò sarà preda dei suoi nemici che abbatteranno lei e i suoi figli dentro di lei non lasciando del suo splendore pietra su pietra.

            Il pianto di Gesù, pianto che avrà lasciato sorpresi e disorientati i discepoli, non fu soltanto dolore per la fine della città eletta che ogni buon israelita amava immensamente, fu anche tristezza profonda, e continua ad essere cocente delusione per ogni anima che manca agli appuntamenti con Dio, agli appuntamenti con la propria vocazione e ai propri compiti, per ogni anima che, pur sapendo di quale amore Dio l'ha amata, non ha saputo accogliere l'Amore.

            Forse pensiamo che il pianto di Gesù possa essere stato simbolico. Ad un uomo forte, consapevole della propria dignità, padrone assoluto dei propri sentimenti e signore di ogni situazione, non si addice il pianto. Cristo, invece, ha pianto; ha pianto perché era profondamente umano e l'intensità dei suoi sentimenti era pari alla perfezione della sua personalità. Gesù ha pianto perché vero uomo; il pianto fa parte della condizione umana. Senza il peccato l'uomo avrebbe pianto di gioia e di felicità conoscendo l'amore di Dio; col peccato l'uomo piange di tristezza e di dolore conoscendo la debolezza e la morte. Gesù ha pianto di dolore e d'amore, ha pianto per l'uomo, ha pianto per ciascuno di noi, per quando non abbiamo saputo riconoscere il tempo della sua visita, e non abbiamo saputo comprendere la via della pace.

            Le lagrime sono una prerogativa dell'uomo e sono un dono di Dio. La liturgia conosce una preghiera per chiedere il dono delle lagrime, lagrime che siano di dolore e di amore e riscattino il pianto di Gesù. Un uomo che non sa piangere non conosce il dolore e non conosce l'amore; certamente non ha sperimentato la gioia di essere uomo. Soprattutto non ha conosciuto la felicità di sapersi figlio di Dio.

 

 N. 10  – La Risurrezione: fondamento della fede

 La liturgia del triduo pasquale celebra il mistero di Cristo morto-sepolto-risorto, mistero che si manifesta negli avvenimenti dolorosi e tristi che tutti conosciamo e che abbiamo già ricordato. Ora, quegli avvenimenti si aprono sul "trionfo" della risurrezione, sulla "vittoria" della pasqua. La Pasqua diventa così il culmine di tutto l'anno liturgico, il culmine della vita della Chiesa; ciò che si è compiuto in quel giorno ha rinnovato ogni cosa, ha siglato il trionfo della potenza e della misericordia di Dio, e insieme ha ricuperato il valore e il significato del tempo e della storia umana.

            Noi, uomini del terzo millennio, facciamo fatica a capire queste cose, ad entrare con convinzione in questo Mistero. Abbiamo l'impressione che tutto questo sia enfasi, retorica, un genere letterario che non ha consistenza pratica nella realtà della vita. L'uomo della civiltà tecnica e consumista, che cos'ha in comune con la Risurrezione di Cristo? Per risolvere i problemi dell'uomo che importanza può avere un Giudeo che duemila anni fa è risorto?

            Sono crollate le strutture sociali e politiche delle ideologie, ma i loro principi e le loro categorie intellettuali sono rimaste profondamente radicate nel modo di pensare oggi dominante. I principi sono riassunti fondamentalmente nell'affermazione che le cose di questo mondo non hanno un loro rapporto con Dio: è il principio dell'immanenza. Ne deriva la chiusura di ciò che è terreno e umano a ciò che è divino e soprannaturale, la presunta incompatibilità o estraneità del tempo con l'eternità. Perciò la Risurrezione di Cristo è un fatto che non ci riguarda, o non ci interessa ai fini di risolvere i problemi dell'uomo, problemi che sono esclusivamente terreni: economici, sociali, problemi di qualità della vita.

            Come possiamo noi cristiani capire e far capire agli altri che le verità della nostra fede sono fondamentali per la vita dell'uomo? Come liberarci dalle strettoie anguste e asfissianti di una cultura laica così povera e debole che non riesce ad andare oltre ciò che è contingente, puramente storico, ciò che è addirittura provvisorio o effimero nella vita umana e nella storia dell'umanità? E’ necessario rompere il muro dell'immanente per aprirsi all’orizzonte sconfinato della realtà di Dio e della sua presenza nella vita e nel destino degli uomini.

Noi cristiani abbiamo ricevuto il dono inestimabile della fede per cui "non fissiamo lo sguardo (soltanto) sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne". Camminare nella vita senza la fede è una grande sventura e rischia di essere una disgrazia irreparabile. Se il nostro Vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo".

 Ora il Vangelo che ci è stato annunciato è che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai dodici. Perciò se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede e noi saremo ancora nei nostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo, sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Cristo risorto è il dato fondamentale della nostra fede ed è l'evento determinante per la salvezza e per il destino dell'umanità.

            Era necessario richiamare l'importanza e la necessità della fede riguardo alla Risurrezione di Gesù, sia come fatto che come mistero, perché ogni discorso sul cristianesimo resterebbe marginale e in certo senso anche retorico se non partisse da questo presupposto, che è stato fin dall'inizio il fondamento della predicazione degli apostoli e come la piattaforma di tutto l'edificio della Chiesa.

            Gesù Risorto è il sigillo a tutte le opere di Dio, è la conferma di tutto ciò che nell'uomo è rimasto integro, retto e nobile per sapienza e per virtù ed è la risposta definitiva di Dio sul nostro destino.

 

 N. 11 – Capire la Risurrezione

 La solenne Liturgia pasquale inizia con la grande Veglia del Sabato Santo Essa si presenta con la fisionomia di una "notte illuminata" dai bagliori delle opere di Dio, ricordate nelle Letture, fino all'esplosione di luce di Cristo risorto e culmina nella gioia incontenibile del giorno di Pasqua. Non è questa la sede per esporre e assaporare la bellezza dei riti liturgici del Triduo pasquale, da quello del giovedì santo a quello suggestivo della Veglia. Ciascuno la scoprirà direttamente in quei giorni nella partecipazione alla Liturgia.

            Del significato battesimale della Pasqua già ne abbiamo parlato. Ci sono, però, due riflessioni sul grande mistero di Cristo risorto che possono avere un notevole impatto sulla nostra fede e sulla nostra vita cristiana. La prima riflessione riguarda la natura della risurrezione di Cristo. Nella Bibbia e soprattutto nel Vangelo si ricordano vari episodi di morti che vengono risuscitati dalla potenza di Dio. Il più famoso è quello di Lazzaro che viene chiamato fuori dal sepolcro dopo quattro giorni di sepoltura. In tutti questi miracoli, le persone risuscitate vengono richiamate in vita; si tratta cioè di un ritorno alla condizione di prima, alla vita presente. Le stesse espressioni usate dal Signore lo fanno capire: quel "Lazzaro, vieni fuori!" è come un imperativo divino a tornare indietro, a tornare a vivere la vita terrena. E quando a Naim richiama in vita il figlio della vedova, e a Cafarnao risuscita la figlia di Giairo, Gesù comanda di alzarsi - alzati! - rimettiti in piedi, riprendi la vita che hai lasciato. "E lo diede a sua madre", lo restituì alla vita. Si tratta dunque della vita attuale, passibile, mortale, ancora soggetta ai limiti e alla precarietà della condizione terrena. Non c'è una vera "novità" nella risurrezione dei risuscitati.

            La Risurrezione di Cristo è invece una "novità" assoluta. La vita di Cristo risorto è una vita nuova, è appunto partecipazione alla vita eterna. Il corpo di Gesù è un vero corpo, ed è "di Gesù", ma in una condizione del tutto nuova, completamente diversa. E' un corpo non più soggetto alle leggi attuali, alla gravitazione, alla impenetrabilità, alle necessità fisiologiche, alla fatica, al ciclo biologico, alla morte: il tempo non conta più, si è come fermato. E soprattutto il corpo partecipa alla beatitudine e allo splendore dell'anima. Perché mai gli Apostoli di fronte a Cristo risorto sono stati presi da stupore e spavento come di fronte a un fantasma, mentre non si sono per niente allarmati davanti a Lazzaro e agli altri risuscitati da Gesù? E' che Gesù risorto era, sì, con i segni evidenti della sua passione, ma non era il Gesù "pesante" di prima; era un Gesù "leggero", etereo, con un vero corpo ma spiritualizzato.

            La risurrezione di Gesù è stata una "pasqua", un passaggio. Il passaggio dalla morte alla Vita, dalla condizione terrena, mortale, perciò precaria e provvisoria, segnata dal peccato, alla condizione celeste, definitiva ed eterna, segnata dalla beatitudine e dalla gloria. E' un cambiamento inimmaginabile, Gesù lo definisce un "entrare nella gloria" cioè nella condizione propria di Dio. E' paragonabile a una nuova creazione. Gesù infatti precisa che per entrare nella gloria "bisognava che Cristo sopportasse queste sofferenze", proprio perché esse erano legate alla "maledizione" del peccato. La risurrezione, quindi, non ha il significato di un portento spettacolare atto a dimostrare che Gesù è veramente figlio di Dio e Messia - per questo sarebbe dovuto andare nel tempio, farsi vedere ai suoi uccisori e manifestarsi al popolo - ha invece il significato di un intervento divino per dirci che è stata tolta per sempre la maledizione del peccato e l'uomo ha così accesso alla gloria.

            In altre parole, la risurrezione di Gesù non è una vittoria "mondana", una rivincita di fronte al mondo, ma una "vittoria di Dio" un gesto della sua misericordia e del suo infinito amore di Padre che, attraverso l'umiliazione e la morte del suo Figlio unigenito ha voluto riconciliare a sé tutte le cose, tutti gli uomini. Capire questo è fondamentale per la fede e per la nostra vita cristiana

 

 N. 12 – Cristo è vivo!

 La seconda riflessione è una conseguenza della prima: Cristo è dunque risorto, perciò Cristo è vivo! Gesù non è più un personaggio del passato; egli è ormai vivo per sempre ed è contemporaneo di ogni uomo in ogni tempo. "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?" - "Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

            Fare propria questa convinzione è indispensabile per la nostra vita interiore . Il nostro rapporto personale con Gesù non avrà bisogno di uno sforzo psicologico per richiamare un personaggio del passato, non esigerà mediazioni della fantasia o della memoria; Gesù è vivo adesso e possiamo incontrarlo adesso: possiamo ascoltarlo, parlargli, unirci intimamente a Lui nell'Eucaristia. Proviamo a pensare alle donne che si recarono al sepolcro in quel mattino di pasqua. La semplicità e l'immediatezza della loro fede: la pietra ribaltata, il sepolcro vuoto, e soprattutto gli angeli che le rassicuravano e affermavano con tutta chiarezza che Gesù era risorto e "...lo vedrete". Tutto questo è bastato per la loro fede e la loro certezza. Ma soprattutto era quel "lo vedrete" che le ha riempite di gioia: "Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli".

            A quelle donne non importava molto dei "se" o dei "come", non si diedero a grandi e complicati ragionamenti; quello che per loro aveva importanza era che Gesù era vivo, lo potevano ancora vedere, ascoltare, servire, prendersi cura di lui. E quando effettivamente lo videro e gli abbracciarono i piedi, la loro gioia non ebbe limiti, tutti gli altri problemi non esistevano più, o non erano più problemi; la stessa incredulità e lo scetticismo degli apostoli erano sì motivo di amarezza e di afflizione ma non impedivano minimamente la loro gioia immensa perché Gesù era ancora con loro.

            Quando si ama, si desidera incontrare la persona amata e si è felici della sua presenza. Le donne del Vangelo si renderanno poi conto che la presenza visibile di Gesù era limitata a pochi giorni e ci vorrà anche per loro, come per gli Apostoli, la luce dello Spirito Santo per comprendere pienamente ciò che era accaduto, ma ormai il dato fondamentale era indubitabile: Gesù era vivo ed era lì, presente in mezzo a loro.

            Anche ora Gesù è presente sulla terra, ma in modo non visibile, e questo trae in inganno gli uomini. In un certo senso, Gesù continua a comportarsi analogamente a come si è comportato nella sua vita e nella sua passione. Non ha mai ceduto alle provocazioni umane, non è andato in piazza a dimostrare con gesti strepitosi la sua messianicità, non è sceso dalla croce per far vedere che era figlio di Dio e, risorto, non si è preso rivincite "mondane". Egli continua ora la sua presenza nella Chiesa - nell'Eucaristia, nei Sacramenti, nel suo Vangelo - una presenza invisibile e umanamente perdente: lo si può infatti insultare, deridere, profanare, si può rifiutare il suo Vangelo, crocifiggere i suoi discepoli, emarginarlo dalla vita dei popoli, proclamare che il mondo non ha bisogno di lui, anzi, che proprio il mondo ci dà quello che lui non può darci: la gloria, i piaceri, il successo, il potere...; e tuttavia ci sono milioni di persone che lo amano, che per lui si convertono dai loro peccati, lo seguono, disposti a fare per lui qualsiasi cosa...; il suo Vangelo continua ad illuminare gli uomini, i suoi Sacramenti continuano a santificare le anime, il suo Spirito a fecondare la terra. La sua presenza di Figlio di Dio, morto e risorto, continua ad essere presenza di salvezza e la Chiesa continua a presentarlo al mondo intero come vittima pasquale presente in mezzo a noi: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo!"

            Gesù è vivo, posso incontrarlo, frequentarlo, ascoltarlo, amarlo; posso seguirlo da vicino, posso servirlo a tempo pieno, posso dargli ogni cosa e tutto me stesso. Posso farlo vivere in me così da renderlo presente in ogni luogo dove passo, dove lavoro, dove vivo. Posso farlo conoscere a quanti mi incontrano e mi chiedono ragione della mia gioia e della mia speranza.

 

                                                                       Ferdinando Rancan

                                                                       Da “La moneta del tempo”.

                                                           Fine dei capitoli dedicati ai Quaresimali