martedì 4 gennaio 2022

IN MEMORIA DI DON FERDINANDO RANCAN. 10 GENNAIO 2022

In questi tempi di turbolenza generale dove ci piovono sconvolgenti notizie a raffica, il cristiano è consapevole che “l’arma” vincente nelle sue mani consiste nella preghiera cristiana, rivolta soprattutto a Gesù attraverso la SANTA MESSA, alla Madonna col Rosario, e poi agli Angeli, ai Santi, alle anime del Purgatorio e a tutti i nostri defunti, soprattutto nei confronti di coloro che si sono distinti per particolari virtù umane in vita e sono avviati sul cammino della eventuale beatificazione.

 Tra questi candidati alla santità, abbiamo anche la figura di un sacerdote diocesano veronese, DON FERDINANDO RANCAN, che molti hanno conosciuto personalmente, passato al cielo il 10 gennaio 2017, all’età di 90 anni, distintosi non per particolari fondazioni, o visioni, o fatti eclatanti, ma per aver vissuto con fedeltà eroica tutta la sua vita, in particolare il suo ministero sacerdotale a disposizione di tutti, pur nella costante sofferenza fisica accettata serenamente per amor di Dio.

 In sua memoria celebriamo una Santa Messa nel giorno del quinto anniversario del suo passaggio al cielo, LUNEDI’ 10 GENNAIO, ORE 19,00 PRESSO LA CHIESA DI SANTA EUFEMIA (vicino al ponte Vittoria) dove ha svolto il suo ministero negli ultimi 10 anni della sua vita come collaboratore del parroco, don Valentino Guglielmi, defunto nel 2012, che pure ricordiamo con gratitudine nella nostra preghiera.

 Siamo tutti invitati a questa celebrazione nella convinzione che nessuna preghiera o grazia per qualunque nostra necessità che chiederemo a questi candidati alla santità, in particolare se sacerdoti, verrà trascurata.  E’ solo questione di fede da parte nostra.

 In allegato troverete un breve profilo biografico sulla vita di don Ferdinando che potete diffondere liberamente.  Grazie.

                           ************************

 P.S. Per chi non lo sapesse, io mi sento moralmente spinta a far conoscere la sua Persona in quanto ho avuto l’immeritato onore di assisterlo, per volontà di Dio, nei suoi ultimi 13 anni di vita abbastanza sofferti a motivo di gravi problemi respiratori. Mi sembra un compito che il Signore vuole che io porti avanti anche dopo il suo passaggio al cielo.  Che Dio mi aiuti.

                                *****************************

 

             PROFILO BIOGRAFICO SULLA VITA SANTA DI

DON FERDINANDO RANCAN


Venerdì 11 gennaio 2019, il Vescovo di Verona, S.e.r. Mons. Giuseppe Zenti, nel bellissimo salone della Curia gremito di gente, chiamato “Sala dei Vescovi” perché sono rappresentate nel controsoffitto le figure degli oltre 300 Vescovi di Verona, al momento di iniziare la presentazione del libro autobiografico di don Ferdinando Rancan “Un somarello e la sua storia”, ha esordito dicendo: “Questo salone prestigioso affrescato prima del 1500 viene di solito riservato per eventi straordinari, e in effetti la vita di don Ferdinando Rancan è stata un evento straordinario per tutta la diocesi”. Con questa premessa del Vescovo e con le testimonianze di Mons. Ezio Falavegna, Vicario episcopale, di don Ermanno Tubini, guida spirituale di don Ferdinando, e della signora Marisa Bommartini, testimone della sua vita, è stato tracciato un breve profilo della sua vita umile ma straordinaria: don Ferdinando non si è distinto per missioni o locuzioni straordinarie, ma per essere stato un autentico sacerdote, saggio, dotto, umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e disponibilità verso tutti, frutti di una intensa vita spirituale che ha saputo cogliere “i segni dei tempi” rimanendo sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con il tempo.

 Nato a Tregnago di Verona il 14 giugno 1926, entrò giovanissimo in seminario ma, proprio alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, dopo anni di stenti e di guerre, dovette superare una grande prova che lo vide inspiegabilmente espulso dal seminario e “catapultato” a Roma dove proseguì gli studi presso l’università “La Sapienza” laureandosi in Scienze Naturali. Nonostante questi tre anni di forzato esilio, da solo in una città sconosciuta, mai gli sfiorò l’idea di tradire il suo ideale sacerdotale perché era certo che prima o poi lo avrebbe raggiunto. Era infatti un segno della volontà di Dio questa inspiegabile estromissione perché proprio a Roma ebbe l’occasione di conoscere il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà, arrivato in Italia da pochi anni, e di chiederne l’ammissione come primo sacerdote diocesano d’Italia, diffondendo poi la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e nel Nord, non senza tribolazioni. Risolto nel frattempo il “malinteso” col Vescovo e completati gli studi teologici, ricevette l’Ordinazione Sacerdotale a Verona il 29 giugno 1953, dedicandosi all’insegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della città, prima di essere chiamato a svolgere il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di S. Nazaro, poi nella Pieve dei Santi Apostoli e infine nella chiesa di Sant’Eufemia. Era noto in particolare come confessore e direttore spirituale, a disposizione delle persone che uscivano da colloqui o confessioni con lui sentendosi risollevati nell’anima e nel corpo.

 La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede ai venti di tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al suo libro autobiografico “Un somarello e la sua storia”, perché, sull’esempio di San Escrivà, tale si riteneva davanti a Dio e agli uomini, mentre la sua vasta cultura si manifestava anche attraverso quel dono soprannaturale della “Sapienza” che Dio concede ai suoi servi fedeli, a coloro che intuiscono e vivono il valore profondo del dolore, dell’umiliazione e della sofferenza per la salvezza delle anime in unione con Dio.

A conferma di questo, riportiamo un brano del libro citato, a pag. 226 che narra un episodio particolare accadutogli da giovane, in Seminario, all’età di 20 anni circa: Quando a sera i miei compagni si mettevano a letto, io, approfittando della difficoltà a coricarmi secondo l’orario per problemi allo stomaco, mi recavo in cappella fermandomi in ginocchio fino a tardi davanti al Tabernacolo (…) Una sera, mentre mi recavo in cappella, entrando nel corridoio completamente al buio, fui attratto da un tenue chiarore che illuminava un’immagine collocata sopra la porta. Era l’immagine di Gesù che teneva in mano, nell’atteggiamento di offrirlo, il suo cuore ferito e sanguinante, circondato da spine, avvolto dalle fiamme e sormontato da una croce. Il suo sguardo intenso e dolcissimo si incontrò col mio e subito mi ricordai delle sue parole: “Ecco il cuore che ha tanto amato gli uomini e da essi non riceve che ingiurie e indifferenza”. Quel tenue chiarore sul volto luminoso di Gesù che accennava a un sorriso delicato e insieme severo mi lasciò profondamente turbato e mi parve di intuire che senza dolore è difficile capire l’amore. Così mi sentii spinto a chiedere con insistenza al Signore di soffrire molto per poter vivere più profondamente l’intimità con lui. Forse fu presunzione, forse superficialità o incoscienza, ma credo che il Signore abbia accolto, almeno in parte, la mia preghiera, perché nella mia vita non ho mai saputo cosa fosse il benessere fisico”.

 Ma don Ferdinando dovette affrontare problemi di salute anche gravi sin dalla nascita, legati soprattutto a difficoltà respiratorie eppure mai lo si vide lamentarsi. In particolare si aggravarono le sue condizioni fisiche verso i 52 anni, quando gli dovettero asportare il polmone sinistro infetto da bronco-ectasie purulente, tanto da costringerlo negli ultimi dieci anni, dagli 80 ai 90, a usare il ventilatore polmonare di notte e la bombola dell’ossigeno tutti i giorni. Tuttavia, questa precarietà della sua salute causata da persistenti infezioni che minacciavano anche l’unico polmone rimasto, procurandogli febbre alta e fibrillazione atriale che debilitavano tutto l’organismo e che i medici curavano con dosi massicce di antibiotico o con ricoveri in rianimazione nei momenti peggiori, mai gli impedì di svolgere il suo ministero sacerdotale a pieno ritmo, seguendo la catechesi per ragazzi e adulti, organizzando pellegrinaggi mariani, incontri di formazione per famiglie, occupandosi dei poveri e malati della parrocchia, della formazione dei sacerdoti, oltre che della ristrutturazione del complesso parrocchiale dei Santi Apostoli e trovando anche il tempo per scrivere libri di formazione cristiana, dei quali il più bello sembra essere “IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO” - Storia di Gesù narrata da un “bambino speciale”. Il tutto con un ottimismo di fondo che si manifestava anche con battute umoristiche e perfino ironiche. Era un sacerdote che, sia pur malato, amava la vita e il mondo “appassionatamente” come è nella spiritualità di San Josemaria Escrivà. Negli ultimi anni della sua vita, ci esortava a pregare molto per l’Italia e le nostre famiglie, fortemente bersagliate dal diavolo, attraverso una preghiera dedicata a S. Giuseppe, Patrono della Chiesa e perciò anche dell’Italia come sede del papato.

 

Vero “Alter Christus”, trovò nel Sacrificio Eucaristico quella forza soprannaturale che sempre lo accompagnò anche nei momenti più difficili, tanto che era inconcepibile per lui passare un giorno senza celebrare la Messa. Negli ultimi anni, non potendo più andare in parrocchia, anche a motivo di una progressiva cecità, celebrava la Messa in casa, sulla mensola di una libreria allestita a tale scopo, ma quando veniva ricoverato, la celebrava perfino all’ospedale, sul tavolino della stanza da letto, avendo sempre a disposizione una valigetta con tutto l’occorrente. Perfino certe sere quando tornava a casa dopo una giornata di analisi e visite mediche estenuanti, non si metteva a cena se non dopo aver celebrato la Messa del giorno. Era edificante vedere con quanta fede si inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, sostando in adorazione del divino Mistero Eucaristico. Sosteneva che la Messa doveva essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra

 

Valori da coma. L’ultimo giorno della sua vita, tra il 9 e il 10 gennaio 2017, quando lo abbiamo accompagnato d’urgenza al Pronto Soccorso per l’aggravarsi della situazione respiratoria, rimanemmo sbalorditi davanti a una frase pronunciata dal medico anestesista che veniva a controllare la situazione. Egli uscì con queste testuali parole: “Noi medici (del reparto di pneumologia di Borgo Trento dove veniva spesso ricoverato e che ringraziamo per le cure prestate), noi medici ci siamo chiesti più volte come abbia fatto quest’uomo a vivere con valori da coma! (Si riferiva ai controlli periodici effettuati tramite test digitale sui rapporti ossigeno, anidride, Ph ecc.). E davanti al nostro sguardo allibito che chiedeva ulteriori spiegazioni, questi rimarcò con maggiore sicurezza: “Si! È vissuto con valori che per un uomo normale significano coma”. Vedendo l’aggravarsi della situazione, chiamammo don Ermanno che venne a somministrargli il Sacramento dell’Unzione dei malati benedicendolo con affetto prima di andarsene. Poco dopo, don Ferdinando ebbe come un improvviso risveglio, che di solito viene chiamato risveglio “ante mortem”, si mise a sedere sul letto, si guardò intorno e la prima cosa che chiese fu questa: “Portatemi a casa perché voglio dire la Messa!” Furono le sue ultime parole, il suo pensiero costante e dominante “celebrare la Messa”, perché poi entrò in coma profondo e si trovò a celebrare la Messa in Paradiso.

 Più tardi, venne il medico ad avvisarci che dai controlli fatti gli restavano poche ore di vita e che potevamo rimanere accanto a lui fino al grande passaggio. Subito guardammo l’orologio che segnava le ore 17 circa del 9 gennaio e pensammo che forse il Signore lo avrebbe chiamato al cielo lo stesso giorno della data di nascita del fondatore dell’Opus Dei, che era proprio il 9 gennaio. Guardavamo con attenzione il passare delle ore: 19, 20, 21… e il suo respiro che continuava con fatica ma ancora ben deciso, mentre gli tenevamo la mano pregando sottovoce San Giuseppe, patrono della buona morte. Finché arrivarono le ore 23 e poi le 24, cioè la fine del giorno 9 gennaio. Appena passate le ore 24, Silvia e io notammo che il suo respiro ebbe come un collasso improvviso, divenne sempre più debole, fino a cessare del tutto un’ora dopo, vale a dire all’UNA del 10 GENNAIO 2017.  Capimmo senza bisogno di parole che don Ferdinando, nella sua umiltà e delicatezza di vita, già in contatto col cielo, non voleva far coincidere la data della sua morte di semplice sacerdote, con quella della nascita del suo Santo Fondatore, autorità ben più grande per la Chiesa e Maestro di vita spirituale. La data del 9 gennaio doveva rimanere tutta e solo per San Josemaria Escrivà.  

 Che don Ferdinando ci protegga dal cielo e aiuti tutti i cristiani, in particolare i sacerdoti, ad essere fedeli alla propria vocazione, nonostante tentazioni e persecuzioni, perché se Gesù stesso ha voluto legare questa speciale chiamata a un Sacramento “l’Ordine Sacro”, conferendogli addirittura un “carattere” indelebile, cioè permanente, “vita natural durante”, significa che il “il sacerdote cattolico”, nonostante le sue miserie, è l’unico uomo al mondo che ha il potere, per volontà divina, di mettere in comunicazione la terra col Cielo, l’uomo con il suo Dio, a tal punto da rendere possibili quelle parole di Gesù: “IO SARO’ CON VOI TUTTI I GIORNI FINO ALLA FINE DEL MONDO.”

                                        A CURA DI PATRIZIA STELLA


 Il libro “Un somarello e la sua storia” a cura di don Ermanno Tubini, euro 14,00= pag. 290, e altri libri di don Ferdinando si trovano presso la libreria “L’isola del tesoro”, casa editrice Fede & Cultura, in Verona, Via Marconi 60. Tel. 045/941851 che li invia direttamente a domicilio.  Vedi online https://fedecultura.com.

lunedì 3 gennaio 2022

NUOVO ANNO 2022. ULTIMA ESORTAZIONE DI MONS. VIGANO'

 

Ultimo messaggio di mons. Viganò al mondo su come salvarci e nostra risposta.


Rev.mo mons. Vigano'

La ringrazio a nome dei suoi ammiratori per questi suoi accorati e frequenti appelli al fine di scuotere il nostro torpore e vincere la nostra “ignoranza” di italiani dormienti davanti a un pericolo gravissimo che ci sovrasta e del quale noi italiani forse non ci rendiamo abbastanza conto.

 

Non si tratta di questo, Eccellenza, perché non solo Lei ma molti altri laici esperti del settore ce lo stanno ripetendo da mesi, certamente da oltre un anno ormai, e ne siamo pienamente convinti tanto che la mobilitazione di protesta a livello nazionale che sta emergendo con sempre maggior adesione penso sia una valida risposta del popolo deciso a combattere per la difesa della propria libertà.

 

Detto questo, la verità è racchiusa in questa frase: Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.

Cioè noi vorremmo partire in quarta contro l’usurpatore e stiamo esaminando tutte le strategie possibili, mobilitazioni, reazioni, convegni, schieramenti, anche in forza delle sue accorate esortazioni, ma ci troviamo paralizzati come un cane che abbaia legato a una catena (scusi il paragone) che oltre a correre freneticamente su e giù per tutta la lunghezza della catena, altro non può fare, come se ci fosse una forza preternaturale che lo trattiene e che solo una potenza superiore potrebbe spezzare permettendo al povero cane isolato di raggiungere i suoi compagni ugualmente legati per correre liberamente tutti insieme in difesa dei loro diritti civili e religiosi.

 

E questa potenza superiore che attendiamo perché spezzi la catena di questa assurda prigionia, rev. Mons. Viganò non proviene dalle sue, sia pur giuste e motivate esortazioni, ma dalla superpotenza soprannaturale della Santa Messa, Vetus o Novus Ordo che sia!! Quella Santa Messa che mai una volta, nonostante le nostre varie richieste, noi abbiamo visto da Lei celebrare pubblicamente soprattutto come riparazione, espiazione per i gravissimi peccati commessi da noi e dalla falsa chiesa bergogliana da lei giustamente accusata perché si è macchiata di peccati orrendi, soprattutto di idolatria e sacrilegio, a tal punto che è impossibile non vederli, a meno di una ottusità invincibile e in molti casi, anche colpevole davanti a Dio e agli uomini.

 

Lei sa benissimo che se le azioni naturali per il raggiungimento della giustizia umana e divina, per quanto giuste e meritorie, non sono accompagnate da una forza soprannaturale quale è la Santa Messa cattolica, che chiama in causa direttamente l’onnipotenza di Gesù Salvatore, nulla di nulla ci sarà possibile fare perché la catena non sarà spezzata da belle esortazioni e nemmeno da eserciti schierati in battaglia, se non sono sostenuti  dalle Sante Messe di riparazione e supplica che tutto il popolo cristiano Le chiede di celebrare pubblicamente.

 

Attendiamo quindi con fiducia e trepidazione questo suo prezioso intervento per il bene della nostra Italia e di tutta la vera Chiesa cattolica che adesso è costretta a operare dalle catacombe ma nella certezza che, come da frase profetica del nostro unico, vero Papa Benedetto XVI, non letterale: la nostra vera Chiesa cattolica riemergerà dalle catacombe, più piccola, povera, ma purificata da tutte le brutture che l’hanno insozzata in questi non solo decenni, non certo dal Concilio Vaticano II, ma da secoli di picconature continue e progressive sia da parte modernista che da parte tradizionalista che ne hanno dilacerato tutto il Corpo Mistico. Quella Chiesa di Gesù Cristo che nessun Prelato, nemmeno il Papa, può trascinare da una parte o dall’altra a suo piacimento, perché è solo e indiscutibilmente di GESU’ CRISTO e si potrà sollevare solo con la potenza voluta da Gesù che è la Santa Messa cattolica, VETUS O NOVUS ORDO, davanti alla quale ci inginocchiamo umilmente.

 

A nome dei fedeli cattolici

                                                            Patrizia Stella - Verona