30 MAGGIO SAN FERDINANDO III RE
La Chiesa il 30 maggio celebra la memoria di san Ferdinando III, Re di Leon e di Castiglia, un santo famoso per la sua lotta contro l’invasione dell’Islam che stava avanzando sempre di più nell’entroterra della Spagna, obbligando tutti gli abitanti, com’è nel loro Corano e nella loro indole, a rinnegare la loro fede in Gesù Cristo per adorare Allah con tutte le conseguenze che ne derivano.
In queste battaglie che lui vinceva,
riuscì sempre a mantenere buoni rapporti con gli avversari islamici: Alicante,
Granada e Siviglia, ad esempio, erano rimaste ancora in mano agli arabi, ma
grazie ad una sapiente opera diplomatica di Ferdinando, il loro re moro si
sottopose al suo vassallaggio e un po’ alla volta abbandonarono del tutto i
territori spagnoli per tornare alle loro terre del Medio Oriente.
Fu tollerante con i Giudei ,
intransigente con gli eretici, regnò con prudenza, saggezza e generosità verso
tutti, ricevette il viatico in ginocchio consapevole di dover morire chiedendo
perdono dei suoi peccati a Dio e a tutti i sudditi,. Era molto devoto della
Madonna la cui statua portava sempre con sé nelle battaglie in difesa del suo
popolo contro la progressiva avanzata islamica, la cui
invasione armata non significava la sconfitta di un re piuttosto che di un
altro in una alternanza basata comunque sugli stessi valori e principi
cristiani, bensì il rinnegamento della fede Cattolica e di Gesù Cristo, al
quale re Ferdinando era devotissimo e fedelissimo, e di conseguenza il totale
abbandono di tutto quel patrimonio della cultura cristiana anche dal punto di
vista etico, civile, legale, artistico, sanitario, famigliare ecc., conquistato
da oltre mille anni di cristianesimo, e fondato essenzialmente sul principio
della libertà personale di scelta, che la mentalità dell’Islam ha sempre
rifiutato e combattuto pena la morte.
Certo, la guerra è sempre una cosa
negativa, spesso conseguenza dei nostri peccati, dicono molti santi, tuttavia
ci sono situazioni in cui si rende indispensabile. In questo periodo storico
molto contorto e confuso, dove noi italiani ci consideriamo sempre i grandi
benefattori dell’umanità che accolgono tutti i profughi del mondo offrendo loro
quelle garanzie e benefici gratuiti che neppure a noi cittadini italiani sono
concesse, altrimenti veniamo considerati razzisti, siamo indotti a pensare che
quelli ci rispetteranno e ci saranno addirittura grati per tutto quello che
offriamo loro. Invece non è così, perché loro stessi non fanno alcun mistero di
manifestare che prima o poi ci sottometteranno, a iniziare da Roma, col rischio
di trovarci addirittura in una terra non più nostra ma di loro proprietà nella
quale possono disporre di tutto!! Case,
chiese, beni, donne, figli, uomini, bambini… a loro uso e consumo, soprattutto
obbligandoci ad abiurare la fede cattolica per adorare Allah.
Ricordiamo che ci sono anche i santi combattenti per la Fede e la Libertà. A proposito di battaglie con l’avanzata islamica in Europa, ricordiamo brevemente le due famose battaglie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683) nelle quali i cristiani (vale a dire Italiani ed Europei quando non si vergognavano di chiamarsi così) hanno vinto non tanto con i pochi mezzi militari di cui disponevano, ma soprattutto con la recita costante del Santo Rosario da parte di tutte le popolazioni chiamate all’unisono dal Papa Pio V per la battaglia di Lepanto, mentre per la battaglia di Vienna, grazie alla Messa celebrata dal monaco cappuccino Marco Daviano che ha messo miracolosamente in fuga con poche perdite il nemico che avanzava con scimitarre e spade pronto a invadere Vienna e l'Europa.
Adesso questo concetto di militanza
per la libertà e la civiltà sta sfumando perché si vuole la pace per la pace,
come valore assoluto, a costo di vivere schiavi dell’invasore per un piatto di
minestra e col cappio al collo.
DON
FERDINANDO RANCAN
In
questa occasione, vogliamo ricordare di lui un episodio molto particolare e
doloroso, ma portato con grande fede quando aveva solo 18 anni ed era studente
nel Seminario di Verona verso la fine della seconda guerra mondiale (1944/45)
Premessa:
Il padre di don Ferdinando, Giambattista
Rancan, ceppo nativo della zona di Tregnago, Verona, morì in modo tragico mentre era guardiano notturno del cementificio di Tregnago “Italcementi” di cui hanno
lasciato i resti come ricordo di quella grande azienda che aveva dato lavoro a
molti operai della zona e che purtroppo commemorava anche alcuni morti per
incidenti sul lavoro. Infatti In una notte piovosa e buia, il nostro
Giambattista Rancan non si accorse di un silos che era rimasto aperto e vi
piombò giù morendo qualche ora dopo che lo avevano estratto non vedendolo
tornare di buon mattino.
Qualche anno più tardi, Cornelio
Marchi, lo zio di Ferdinando da parte della madre, Maria Marchi, venne assunto
nello stesso cementificio al posto del padre e fu incaricato del controllo
delle caldaie. Non si sa in quale
maniera, il povero Cornelio fu travolto dalle fiamme e trovato moribondo.
Portato all’ospedale morì pochi giorni dopo, lasciando la povera moglie Elvira,
zia Elvira come la chiamava Ferdinando, affranta, a maggior ragione perché
aveva il figlio più grande, Giuseppe, al fronte, l’altro di 17 anni, Renato,
apprendista panettiere e i due ultimi più piccoli alle scuole elementari.
In quell’anno, inizio 1945, stava
finendo la guerra e i tedeschi si ritiravano a gruppi dall’Italia portando
spesso morte e distruzione dove passavano con rappresaglie punitive degne dei
peggiori criminali che non erano più controllati da nessuno.
In una di queste rappresaglie dei tedeschi,
mentre il giovane Renato tornava dal panificio di buon mattino, un drappello
delle SS passava di lì e caricarono sul loro camion alcuni passanti, tra cui
Renato. Senza tante mediazioni o
ripensamenti, li presero e li fucilarono tutti un po’ fuori del paese, compreso
Renato che era un ragazzino, il più giovane.
Lascio immaginare la disperazione
della mamma, Elvira, al pensiero che il marito era morto bruciato vivo, il
figlio più grande, Giuseppe, in guerra senza avere notizie (tornò comunque vivo
a guerra finita) e l’altro, Renato, che, per quanto poco, era l’unico
sostentamento della famiglia, fucilato dai tedeschi.
In questo frangente drammatico in
cui non ci sono parole per consolare chi è colpito da simili disgrazie, il
nostro seminarista Ferdinando, di appena 18 anni, scrisse una lettera alla zia
Elvira che riportiamo qui sotto e che vale la pena leggere con calma perché
indice di una fede, di un coraggio soprannaturale e di una grande
partecipazione umana al dolore altrui, da parte di un semplice diciottenne,
abituato però a vivere un rapporto con il Signore molto profondo e anche lui
provato da molta sofferenza, sin da piccolo.
LETTERA
A ZIA ELVIRA
Forse pensando al compagno della tua
vita che a metà cammino ti ha lasciato, bruciato vivo martire per tuo amore e per i tuoi figli; (zio
Cornelio preso dalle fiamme durante il suo lavoro nello stesso cementificio
dove aveva perso la vita il papà di Ferdinando), forse volando col pensiero al
tuo Giuseppe lontano lontano, che, strappato dal tuo seno e dal suo focolare,
da tanto tempo non vedi, straziata ora da questo nuovo colpo, sentirai nel fondo
della tua anima ferita un vuoto largo e profondo, vivere ti sembrerà una cosa
amara, amara che niente potrà raddolcire.
Renato non lo hai più, è un pensiero che stringerà in una morsa
angosciata il povero tuo cuore.
Oggi è passato Gesù e ha scaricato
la sua croce pesante sulla tua porta, ma zia, non chiuderla quella porta, corri
ad aprire, fallo entrare, è un dono che ti porta. Egli è stanco sfinito, ti
domanda aiuto, e tu continua con Lui il tuo cammino. Arriverai al Calvario dove
un’altra madre desolata, Maria, anche lei come te è straziata nell’anima, anche
a lei, come a te, hanno assassinato il figlio! E glielo vedi lì sulle
ginocchia, livido, lacerato, esangue. Prendi il tuo dolore, dallo a Maria, lei
sa che cosa è amore di mamma!
Cara zia, non piangere quando ti
verranno nelle mani i vestiti del tuo Renato, quando vedrai ogni sera il suo
letto vuoto. NO! Sii forte nel tuo dolore. E quando lo strazio ti farà
sanguinare e la disperazione ti salirà alla gola, corri, nasconditi nel
silenzio della Chiesa, guarda laggiù al Tabernacolo dove un Cuore sempre aperto
e dolorante (che) saprà dirti quelle parole di vita eterna che gli uomini non
sanno e non possono darti.
Dillo a Gesù che glielo dai il tuo
Renato, è Lui che te lo domanda, Lui che ti ha dato tutto se stesso.
OFFRIGLIELO per questo povero mondo così malvagio impastato di odio e di
errore. Gesù te lo domanda ma per poco tempo; e un giorno lo vedrai bello,
glorioso, trionfante. Ed anche adesso non te lo senti, no, più vicino? E’ lì
accanto a te insieme a Cornelio. Su, dunque, e per amore di quelle due creature
che ti restano e che ti stringono i fianchi, non piangere.
E’ bello soffrire quando si sa che
Cristo ci ama, quando si sa che egli comprende e vede il nostro dolore,
raccoglie e ricompensa ogni nostra lacrima.
Ti abbraccio
Tuo Ferdinando
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