domenica 19 ottobre 2025

LETTERA A ZIA ELVIRA di Ferdinando Rancan

 


LETTERA A ZIA ELVIRA.

DI DON FERDINANDO RANCAN


In memoria del candidato alla santità, don Ferdinando Rancan, per il quale è stato consegnato al Vescovo di Verona un robusto fascicolo di testimonianze al fine di aprire la causa di beatificazione, come nella prassi, vogliamo ricordare di lui un episodio molto particolare e doloroso, ma portato con grande fede quando aveva solo 18 anni ed era studente nel Seminario di Verona verso la fine della seconda guerra mondiale (1944/45)


Premessa:

Il padre di don Ferdinando, Giambattista Rancan, ceppo nativo della zona di Tregnago, Verona, morì in modo tragico, quando d. Ferdinando aveva nemmeno 2 anni, mentre era guardiano notturno del cementificio di Tregnago “Italcementi” di cui hanno lasciato i resti come ricordo di quella grande azienda che aveva dato lavoro a molti operai della zona e che purtroppo commemorava anche alcuni morti per incidenti sul lavoro. Infatti in una notte piovosa e buia, il nostro Giambattista Rancan non si accorse di un silos che era rimasto aperto e vi piombò giù morendo qualche ora dopo che lo avevano estratto non vedendolo tornare di buon mattino.


Qualche anno più tardi, Cornelio Marchi, lo zio di Ferdinando da parte della madre, Maria Marchi, venne assunto nello stesso cementificio al posto del padre e fu incaricato del controllo delle caldaie.  Non si sa in quale maniera, il povero Cornelio fu travolto dalle fiamme e trovato moribondo. Portato all’ospedale morì pochi giorni dopo, lasciando la povera moglie Elvira, zia Elvira come la chiamava Ferdinando, affranta, a maggior ragione perché aveva il figlio più grande, Giuseppe, al fronte, l’altro di 17 anni, Renato, apprendista panettiere e i due ultimi più piccoli alle scuole elementari.


In quell’anno, inizio 1945, stava finendo la guerra e i tedeschi si ritiravano a gruppi dall’Italia portando spesso distruzione e morte ovunque passavano con rappresaglie terribili degne dei peggiori criminali che non erano più controllati da nessuno.

In una di queste rappresaglie dei tedeschi, mentre il giovane Renato tornava dal panificio di buon mattino, un drappello delle SS passava di lì e caricarono sul loro camion alcuni passanti, tra cui Renato. Senza tante mediazioni o ripensamenti, li presero e li fucilarono tutti un po’ fuori del paese, compreso Renato che era un ragazzino, il più giovane.

Lascio immaginare la disperazione della mamma, Elvira, al pensiero che il marito era morto bruciato vivo, il figlio più grande, Giuseppe, in guerra senza avere notizie (tornò comunque vivo più avanti, a guerra finita) e l’altro, Renato che, per quanto poco, era l’unico sostentamento della famiglia, fucilato dai tedeschi.


In questo frangente drammatico in cui non ci sono parole per consolare chi è colpito da simili disgrazie, il nostro seminarista Ferdinando, di appena 18 anni, scrisse una lettera alla zia Elvira che riportiamo qui sotto e che vale la pena leggere con calma perché indice di una fede, di un coraggio soprannaturale e di una grande partecipazione umana al dolore altrui, da parte di un semplice diciottenne, abituato però a vivere un rapporto con il Signore molto profondo e anche lui provato da molta sofferenza, sin da piccolo.


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Zia carissima,


 sono qui accanto al tuo dolore, tanto più straziante quanto più improvviso e inaspettato; e ti vedo come non ti ho mai vista, ti immagino come ho immaginato tante madri che alla sera, prima di coricarsi, si bagnano di lacrime cocenti l’amata figura del figlio che non tornerà più.

Forse pensando al compagno della tua vita che a metà cammino ti ha lasciato, bruciato vivo martire per tuo amore e per i tuoi figli; (zio Cornelio preso dalle fiamme durante il suo lavoro nello stesso cementificio dove aveva perso la vita il papà di Ferdinando), forse volando col pensiero al tuo Giuseppe lontano lontano, che, strappato dal tuo seno e dal suo focolare, da tanto tempo non vedi, straziata ora da questo nuovo colpo, sentirai nel fondo della tua anima ferita un vuoto largo e profondo, vivere ti sembrerà una cosa amara, amara che niente potrà raddolcire. Renato non lo hai più, è un pensiero che stringerà in una morsa angosciata il povero tuo cuore.


Oggi è passato Gesù e ha scaricato la sua croce pesante sulla tua porta, ma zia, non chiuderla quella porta, corri ad aprire, fallo entrare, è un dono che ti porta. Egli è stanco sfinito, ti domanda aiuto, e tu continua con Lui il tuo cammino. Arriverai al Calvario dove un’altra madre desolata, Maria, anche lei come te è straziata nell’anima, anche a lei, come a te, hanno assassinato il figlio! E glielo vedi lì sulle ginocchia, livido, lacerato, esangue. Prendi il tuo dolore, dallo a Maria, lei sa che cosa è amore di mamma!


Cara zia, non piangere quando ti verranno nelle mani i vestiti del tuo Renato, quando vedrai ogni sera il suo letto vuoto. NO! Sii forte nel tuo dolore. E quando lo strazio ti farà sanguinare e la disperazione ti salirà alla gola, corri, nasconditi nel silenzio della Chiesa, guarda laggiù al Tabernacolo dove un Cuore sempre aperto e dolorante (che) saprà dirti quelle parole di vita eterna che gli uomini non sanno e non possono darti.


Dillo a Gesù che glielo dai il tuo Renato, è Lui che te lo domanda, Lui che ti ha dato tutto se stesso. OFFRIGLIELO per questo povero mondo così malvagio impastato di odio e di errore. Gesù te lo domanda ma per poco tempo; e un giorno lo vedrai bello, glorioso, trionfante. Ed anche adesso non te lo senti, no, più vicino? E’ lì accanto a te insieme a Cornelio. Su, dunque, e per amore di quelle due creature che ti restano e che ti stringono i fianchi, non piangere.


E’ bello soffrire quando si sa che Cristo ci ama, quando si sa che egli comprende e vede il nostro dolore, raccoglie e ricompensa ogni nostra lacrima.


Ti abbraccio


                                                    Tuo Ferdinando





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