martedì 15 giugno 2021

UN SOMARELLO E LA SUA STORIA. TESTIMONIANZA DI E. DAL BOSCO

TESTIMONIANZA  DI ERMENEGILDO DAL BOSCO

Sul libro 

 

UN SOMARELLO E LA SUA STORIA

di don Ferdinando Rancan

 

 Sono Ermenegildo Dal Bosco, veronese settantunenne, laureato in chimica pura, titolo che mi ha permesso di lavorare per dieci anni  per la Magneti Marelli società del gruppo FIAT.

Nel 1980 mi sono felicemente sposato con Claudia laureata in Scienze Biologiche ed insegnante di matematica e scienze presso varie scuole medie private e pubbliche. Dal 1986 per ragioni famigliari ho cambiato professione: sono diventato anch’io docente di matematica e scienze presso L’Istituto salesiano “Don Bosco “ di Verona per altri vent’anni. Attualmente siamo entrambi in pensione.  Abbiamo avuto quattro figli: uno è sacerdote diocesano e parroco e le altre tre sono tutte laureate in discipline diverse ed esercitano le rispettive professioni.

 

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Conobbi don Ferdinando in Seminario durante l’anno scolastico 1967/68 come professore di Scienze in 2^ liceo. Di quel periodo non conservo ricordi particolari: era un professore cordiale, non autoritario...

Poi lo persi di vista fino agli inizi del 2020 quando mi fu regalato il suo libro autobiografico “ Un somarello e la sua storia” da un amico che mi disse: “E’ la storia di sacerdote veronese straordinario, morto da pochi anni, che moltissimi, non solo veronesi, stimano santo; se lo leggi ti renderai conto”.

Come notai sulla copertina il nome dell’autore “Don Ferdinando Rancan” esclamai: “Ah, lo conosco! E’ mio valligiano e l’ho avuto come insegnante al Liceo!”

La lettura del libro mi conquistò fin dalle prime pagine: sentendo nominare Tregnago, suo luogo di nascita, mi sentii idealmente trasportato in alta Val d’ Illasi fino alla mia cara Giazza (capitale dei Cimbri ) dove sono nato e cresciuto fino all’adolescenza. Per noi Tregnago era allora considerato il capoluogo della zona: a Tregnago c’erano l’ospedale, il notaio, le Poste, il trenino, il cementificio, il castello, varie ville signorili ed il ristorante “Michelin”. Leggendo quindi mi sembrava di volare sulle contrade, i pendii, i prati, i boschi, il progno, le Chiese, i cimiteri… i luoghi della mia terra natia.

Un capitolo poi che mi impressionò visceralmente fu quello della tragica morte di suo padre sul posto di lavoro (1928): rimase orfano a meno di due anni! Questo ci rendeva simili perché anch’io, a soli sette mesi, persi mio papà per conseguenze di guerra.

Proseguendo nella lettura fui impressionato dalla precarietà di salute fin da piccolo, che lo obbligò a stare lontano dai propri famigliari per lunghi periodi con grandi sue sofferenze.

Ciononostante, fui meravigliato di come riuscì a compiere in bicicletta, nel periodo dei suoi studi universitari a Roma, il rocambolesco percorso Roma-Verona e successivamente varie escursioni su ardite montagne delle Alpi svizzere, tirolesi ed austriache.

Proseguendo fino al termine della lettura con il mio solito metodo non frettoloso ma cadenzato ed intervallato, ho maturato alcune convinzioni relative a Don Ferdinando, in qualità di uomo e di sacerdote, che mi permetto di esporre sinteticamente.

Anzitutto ho apprezzato la sua spiccata “vèrve” poetica ed il suo narrare elegante, fluente, empatico che rivelano una profonda sensibilità umana con accenti talvolta squisitamente materni. Nonostante per tutta la vita sia stato tormentato da problemi di salute si è dimostrato coraggioso ed intraprendente; non si è arreso di fronte a difficoltà, critiche ed opposizioni anche violente.

Qui faccio riferimento soprattutto a quell’evento straordinario molto doloroso e per lui umiliante che mi ha colpito profondamente e che non conoscevo, cioè di vedersi espulso all’improvviso dal Seminario, nel 1949, alla distanza di un anno dall’ordinazione sacerdotale, per un malinteso sorto con il Vescovo, mons. Girolamo Cardinale, incomprensione che si è risolta positivamente, ma dopo la bellezza di quattro anni di lunga e fiduciosa attesa, grazie all’eroica fortezza e visione soprannaturale da parte del nostro seminarista che mai perse di vista la consapevolezza di sentirsi guidato dalla mano paterna di Dio, oltre che l’interiore certezza che sarebbe stato ordinato sacerdote proprio da quel Vescovo che lo aveva espulso in modo così misterioso. Come poi avvenne, il 29 giugno 1953.

Questo fatto inspiegabile della sua espulsione violenta dal seminario in modo si potrebbe dire traumatico, si rivelò poi un autentico disegno della provvidenza di Dio su don Ferdinando, perché il Rettore del Seminario, mons. Pietro Albrigi, che lo stimava molto, pensò di mandarlo a Roma, ospite dell’istituto “don Calabria”, a proseguire gli studi universitari nell’attesa dello sviluppo degli eventi. E fu proprio a Roma che venne in contatto con l’Opus Dei, che allora segnava i suoi primi passi in terra italiana e con il suo Fondatore, San Josemaria Escrivà, al quale, ovviamente dopo i necessari contatti con i responsabili, don Ferdinando presentò la domanda di ammissione.

Siamo infatti negli anni 1952/53 quando nessuno conosceva ancora l’Opus Dei in Italia o solo pochi a Roma e a Milano, e il fatto che un umilissimo, anche se coltissimo sacerdote veronese di campagna fosse stato scelto da Dio per essere “catapultato” nientemeno che a Roma, attraverso vicende così eccezionali, ha dell’incredibile. In effetti fu proprio don Ferdinando a far conoscere la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e nel Nord-Est, diciamo così, tanto che qui in zona è conosciuto certamente come sacerdote diocesano esemplare, ma soprattutto come “quello che ha portato l’Opus Dei a Verona” e pertanto credo che a buon titolo possa essere definito “cofondatore” in quanto primo sacerdote diocesano che ha aderito come “aggregato” alla spiritualità dell’Opus Dei in Italia.

Quando, leggendo il libro, con grande soddisfazione venni a sapere del suo strettissimo legame con mons Escrivà mi si spalancò un panorama incantevole: anch’io ero stato affascinato dal carisma dell’Opus Dei: il “padre”, come usava chiamarlo don Ferdinando, si può considerare, ne sono pienamente convinto, l’ispiratore o il precursore di tutti i documenti conciliari e postconciliari riguardanti il cammino di santità specifico dei laici cristiani.

Mi tornò in mente quanto avevo meditato studiando la costituzione dogmatica “Lumen Gentium”, Il decreto “Apostolicam Actuositatem”, la dichiarazione “Gravissimum Educationis”. Trovai ulteriori conferme nel “Catechismo della C.C.”, nell’esortazione apostolica “Christi Fideles laici” (1994) di Papa San G. Paolo II° ed infine, nel suo illuminante “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” (2004).

 Mi domando quindi: “Quale grande riconoscenza dobbiamo avere verso don Ferdinando per aver trapiantato l’Opus Dei nel nostro Triveneto?”

Nel suo lungo periodo di apostolato sacerdotale non ha mai espresso giudizi sprezzanti o di astiosa condanna su persone o realtà varie dimostrando eccellente equilibrio, fede e lungimiranza. Confidando sempre nella Provvidenza di Dio e nella protezione della Madonna è riuscito a realizzare mirabili opere di natura sia spirituale che civile come, ad esempio, la ristrutturazione, senza lasciare debiti, della chiesa e di quasi tutto il complesso circostante la Parrocchia dei Santi Apostoli: sacrestia, canonica con appartamentini riservati ai sacerdoti, aule catechismo, asilo dei bambini, sala giochi, biblioteca, cortili  ecc.

Inoltre, avendo io personalmente studiato con diligenza tutti i documenti del Concilio Vaticano II° come pure i vari articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), mi è parso, durante la lettura dell’autobiografia, che don Ferdinando, nel suo lungo ministero sacerdotale, fosse sempre stato pienamente “ortodosso” cioè in sintonia con il Magistero perenne della Chiesa Cattolica.

In conclusione ho maturato la convinzione che Don Ferdinando potrebbe degnamente essere annoverato fra i grandi sacerdoti veronesi quali don Baldo, don Nascimbeni, don Calabria, ….  perché ne ha dimostrato la medesima statura, anche se diverso carisma e spiritualità.

                        In fede          

                                                Ermenegildo Dal Bosco

 

Mi permetto di suggerire la lettura di questo suo libro autobiografico non solo per la ricchezza di contenuti espressi in modo simpatico e avvincente, ma soprattutto perché potrebbe costituire un punto di riferimento, un vero “modello” di vita ascetica, soprattutto per i sacerdoti ma anche per i laici che vogliono vivere una particolare spiritualità di comunione con Dio nel mondo, vissuta nella fedeltà anche davanti a grandi prove che forse il Signore permette per farci crescere nella Fede e nell’abbandono in Lui.

 

Ferdinando Rancan, “Un somarello e la sua storia”  a cura di Ermanno Tubini, pag. 290, euro 14,00

Si può acquistare chiedendo alla libreria di Fede e Cultura, Verona   tel. 045/941851

 

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