venerdì 23 dicembre 2022

LA MADONNA RACCONTA. E' NATO PER NOI UN BAMBINO.

 

          E' NATO PER NOI UN BAMBINO 

 

Dal libro “La Madonna racconta”

Di Ferdinando Rancan

Ed. Fede e Cultura

 

NOTA INTRODUTTIVA. In questo libro, che sembra davvero ispirato nonostante l’umiltà dell’autore lo attribuisca a meditazione costante del Vangelo, è la Madonna stessa che narra la sua vita, dalla sua gestazione miracolosa per opera dello Spirito Santo, alla sua “dormitio” cioè all’Assunzione al Cielo in anima e corpo.  La prefazione è del compianto mons. Luigi Negri, già Vescovo di Ferrara, che conosceva l’autore da anni e lo stimava molto.

  

È NATO PER NOI UN BAMBINO

 Da pag. 68 del libro citato.

 Quella sera Giuseppe non riusciva a nascondere la sua preoccupazione; per un momento lo vidi anche avvilito e amareggiato. Non erano da lui questi atteggiamenti, mai lo vidi così seriamente pensoso, quasi paralizzato dal dubbio e dall’incertezza davanti a una situazione difficile. Certamente quella sera pesava molto su di lui la stanchezza: aveva camminato tutto il giorno di casa in casa per reperire un alloggio, anche piccolo ma discreto e con un minimo di confort per la nascita del Bambino, ma inutilmente.

            Giorni prima, andando a deporre la sua iscrizione davanti al pubblico funzionario in ordine al censimento, si era guardato attorno, si era informato, aveva chiesto a conoscenti e a qualche lontano parente senza alcuna risposta, aveva perfino pensato di affittare una tenda ma non riuscì a trovare una soluzione al nostro problema. D’altra parte i sintomi del parto erano ormai evidenti e tutto poteva accadere da un momento all’altro.

            Fu allora che lo vidi entrare in un profondo raccoglimento: si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, la fronte sulle dita incrociate, gli occhi socchiusi come se proteggessero i moti dell’animo, e un silenzio interiore, irraggiungibile dal chiasso e dal confuso vociare del caravanserraglio, proteggeva la sua preghiera che certamente fluiva dal suo cuore e che io percepivo per averlo sperimentato tante volte, vivendo accanto a lui. Sentivo infatti che il Signore lo stava ascoltando e lo stava illuminando.

             Lasciò infatti passare alcuni minuti, poi si alzò con decisione, mi guardò col volto rilassato e sereno, mi passò una carezza sul capo e aiutandomi ad alzarmi: “Su – disse –dobbiamo andarcene di qui”. La nascita del nostro Bambino non poteva avvenire lì, in mezzo alla confusione, alla sporcizia, al disordine di un caravanserraglio, sotto gli sguardi incuriositi di estranei che non avrebbero capito quale significato poteva avere quella nascita e chi era quel Bambino che veniva alla luce in quel modo così singolare. Meglio un rifugio naturale, lontano dall’indifferenza e dalla vana curiosità della gente, protetti dai nostri angeli e custoditi dalla provvidenza del cielo.

D’altra parte, alla luce di quella preghiera, Giuseppe e io avevamo maturato la convinzione che non furono tanto gli uomini a chiuderci la porta in faccia quanto piuttosto una precisa volontà di Dio che, come sempre, conduceva gli avvenimenti a modo suo. Come infatti nessuno sapeva né poteva sapere come Gesù era sbocciato nel mio grembo, così nessuno doveva assistere alla sua nascita, perché quel parto era un segreto di Dio, della sua onnipotenza, e solo il cielo e gli Angeli potevano esserne testimoni.

            Giuseppe, dunque, raccolte le poche cose che avevamo portato con noi, (non mancarono i panni e le fasce che sarebbero servite all’occorrenza) sellò il nostro asinello e senza dilungarsi in saluti e spiegazioni, ci accomiatammo dalle persone e lasciammo il caravanserraglio. Dovevamo approfittare degli ultimi raggi del sole per trovare ancora una soluzione idonea alle necessità di quel momento.  Ancora una volta l’intuito di Giuseppe – e sicuramente l’aiuto dei nostri Angeli – ebbe un provvidenziale successo: prendemmo il declivio che da fuori Betlemme porta alla strada per Ebrom, ed ecco, lì, sotto una cengia, una grotta ampia e sicura che sembrava fatta proprio per noi. 

Giuseppe mi fece attendere un po’ lì fuori, aiutandomi a sedere su una sporgenza della roccia coperta di morbido muschio, mentre lui si accingeva, con un rastrello trovato lì dentro e una scopa di rami secchi allestita alla buona, a ripulire alla meno peggio l’abitacolo. All’improvviso il fruscio della scopa venne interrotto da un forte muggito proveniente dal fondo buio della grotta. Giuseppe prese la lanterna, si avvicinò, e vide un placido bue, comodamente sdraiato, che ci voleva dare, a modo suo, il benvenuto. Collocammo lì accanto anche il nostro asinello mentre Giuseppe si affrettò a preparare con del fieno fresco e profumato trovato in un angolo della grotta, sul quale aveva steso il suo mantello, una specie di lettuccio sul quale mi adagiai con evidente sollievo.  Anche Giuseppe, alla fine, stanco, ma soddisfatto dell’abitacolo ben ripulito e intiepidito dal calore dell’animale, si riposò lì accanto e si addormentò.

Proprio lì, nel cuore della notte, ci fu dato Gesù.


            Figlio mio e figlia mia, chi mai potrà dirvi, e io stessa come potrei descrivervi quello che accadde in quella notte? Nel silenzio di tutto il creato quella grotta mi apparve come il centro dell’universo. Avevo sentito il Bambino sussultare nel mio ventre e poi, all’improvviso, non so come, me lo vidi tra le braccia, nudo ma pulito e profumato, come se fosse uscito da un bocciolo di rosa. Lo accarezzai e lo strinsi fra le mani che tremavano di commozione, quasi per assicurarmi che era vero. Era proprio un Bambino, in carne ed ossa, morbido come un batuffolo. Giuseppe avvicinò la lanterna per illuminarlo da vicino: ci fermammo a contemplarlo in silenzio, con gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte. Non trovammo parole, ma i nostri sguardi che si incontrarono pieni di stupore e di meraviglia, e il nostro sorriso che traboccava di felicità, dicevano molto più di quanto potevano le parole. Passarono alcuni istanti, intensi e dolcissimi, poi Giuseppe ripose la lanterna e prendendo nelle sue braccia con forza e delicatezza me e il Bambino: “Maria cara, sussurrò, è Gesù! Il nostro Gesù! Ed è stupendo! Bellissimo...! Grazie, amore mio!”

            A questo punto il Bambino emise il primo vagito; era il suo saluto, il suo “Eccomi!”. Lo coprii con i panni di lino e lo avvolsi nelle fasce con ogni cura e con un po’ di trepidazione, come chi prendeva per la prima volta tra le mani una creatura appena nata. Gesù si lasciò fare con incantevole docilità mentre Giuseppe si dedicava a trasformare la mangiatoia in una culla. Improvvisamente, come d’impulso, presi il Bambino e lo avvicinai alla mia guancia: pelle con pelle, era un contatto che parlava il linguaggio dell’intimità intensamente gratificante che è propria esclusivamente della madre con la sua creatura. Gesù strisciò per qualche istante la sua guancia sulla mia, poi istintivamente aprì le sue piccole labbra come per cercare qualcosa: era la sua prima richiesta di Bambino appena nato. Allora scoprii i miei seni che si erano fatti turgidi e caldi e li avvicinai alla sua bocca. Egli si aggrappò al seno più vicino e cominciò a succhiare aprendo i suoi occhi di neonato verso di me.

Come potrei manifestare l’emozione, i pensieri, i sentimenti che inondavano l’anima mia in quei momenti? Erano, sì, i moti inesprimibili dell’animo che ogni donna prova quando stringe per la prima volta tra le sue mani la sua creatura… sente che ha ricevuto un dono immenso, un tesoro che non ha prezzo e che le viene affidato come un regalo prezioso tutto per lei; tuttavia quel “dono” che stringevo al mio petto non era un Bambino come gli altri bambini, era un dono specialissimo, in un senso molto più profondo e unico. Non l’avevo infatti scelto né voluto io, era stato lui a scegliere me, a volermi come madre sua. Sentivo che lui mi apparteneva ma che anch’io gli appartenevo come nessun’altra madre al mondo.

 

L’unico sentimento che poteva contrastare all’immensa felicità che fluiva dentro di me riguardava il mio amato Giuseppe. Il pericolo che egli non si sentisse partecipe, anzi, quasi estraneo, a quanto avveniva in me era un’insidia alla pienezza della mia gioia. Volli dissipare questo timore, e guardando Giuseppe con un sorriso pieno di affetto distesi le braccia verso di lui e gli offrii il Bambino: Gesù non era solo per me ma anche per lui, era anche suo, e non doveva quindi sentirsi soltanto “custode” di Gesù, ma anche “padre”, di una paternità che veniva dal Cielo. Giuseppe prese il Bambino, se lo strinse al petto e guardandomi, ripeté con voce commossa: “È il nostro Gesù! È il nostro Gesù! Grazie, Amore mio!”.

            Tuttavia questi sentimenti che riguardavano la mia persona e quella di Giuseppe si mescolavano con altri sentimenti che mi venivano da lontano e mi portavano lontano. Così ritornavano alla mia mente le parole del Profeta Isaia coniugate al plurale: “Un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… egli porta con sé i segni della sovranità e viene invocato con nomi che nessuno può vantare: Consigliere mirabile, Dio potente, Principe della pace…”. Pensando a queste parole i miei occhi si velarono, la grotta dove eravamo non c’era più, era diventata il centro dell’universo e vedevo nel Bambino Gesù che tenevo tra le braccia un dono per tutte le Nazioni della terra. Su di lui si concentravano tutte le attese, le speranze, i desideri dell’umanità. Il mio Bambino non era solo per me, era per tutti i popoli della terra. Questi pensieri andavano e venivano dentro di me e si trasformavano in espressioni di adorazione, di lode, di amore, di rendimento di grazie…

 

            Nel silenzio del creato voci celestiali si dissolvevano sui campi e sui monti di Betlemme e richiamarono l’attenzione di Giuseppe che uscì dalla grotta per ascoltare la notte. Nel cielo turchino un tripudio di stelle esultava di gioia e di stupore. “Sono gli occhi degli Angeli, pensò, che contemplano il commovente mistero di questa grotta che è diventata il cuore del mondo. E lo sentii sussurrare una preghiera impregnata di meraviglia e di lode al Signore. D’improvviso egli rientrò con aria sospetta. Sta arrivando qualcuno, mormorò. Ma subito si ricompose e con un tono calmo e sereno: “Sono certamente Angeli buoni, continuò, non dobbiamo temere!”. Dai recinti infatti che custodivano i greggi, cominciarono ad accendersi silenziose lanterne che muovevano lentamente verso la grotta disegnando sentieri di luce nell’aria notturna che si era fatta tiepida e dolce. Attirati dalla luce della grotta si presentarono a noi, stupiti e quasi increduli davanti al Bambino e davanti a me che non accusavo nessun sintomo di un parto appena concluso.

Che uomini stupendi quei pastori! Tipi rudi, forti, ma di una semplicità incantevole che li ha portati a credere nel Bambino e ad adorarlo. Erano persone che non godevano di alcun credito presso gli uomini che contano, ma erano graditi a Dio. Nei loro volti c’era la meraviglia per ciò che si presentava ai loro occhi ma anche la gioia per una certezza che liberava il loro cuore da ogni dubbio e da ogni timore. “Si, dicevano tra loro, il Cielo non ci ha ingannati! Questo Bambino è per noi. Il Signore è venuto a liberarci!”.

            Anche quella grotta spalancata sotto i cieli e lontana dalle città degli uomini, faceva riferimento a tutti i luoghi della terra e a tutti i tempi dell’uomo e parlava della disponibilità di Dio. Se Gesù fosse nato nella reggia di un re (era infatti di stirpe regale) chi avrebbe potuto visitarlo? E se fosse nato nella casa dei potenti e dei sapienti del mondo, chi avrebbe potuto avvicinarlo? E se fosse nato in un albergo, o nella casa di un privato, chi lo avrebbe cercato? Quella grotta dunque, mi appariva come un grembo materno aperto sul mondo che offriva quel dono immenso del Cielo, il mio Bambino, all’umanità intera perché ogni uomo che percorre il sentiero dell’umiltà e della semplicità possa trovare in lui la salvezza e la pace.

            Vedendo quei pastori ho capito che il Bambino che io tenevo nelle mie braccia non era solo mio, né soltanto per me. Apparteneva ad ogni uomo, era per tutti i popoli della terra. Quel Bambino era dunque anche tuo, è venuto anche per te. Se hai la semplicità e l’umiltà dei pastori lo puoi prendere in braccio, cullarlo e dirgli le parole affettuose che il tuo cuore ti ispira, ma anche adorarlo, benedirlo, invocarlo come tuo Redentore col nome dolce di “Gesù mio e Dio mio”. Al pensiero che Gesù è anche tuo e può esserlo per ogni uomo che voglia incontrarlo, anche oggi come in quella notte la mia anima si riempì di gioia.


 dal libro "La Madonna Racconta"

di Ferdinando Rancan

la casa editrice Fede e Cultura  

a richiesta, lo spedisce a domicilio.

(pag. 202 euro 15.00)    -  tel. 045/941851.

 

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